Cronaca

Dalla Chiesa, 43 anni dopo. Un mistero italiano che non vuole morire

Una morte annunciata, lasciato solo dallo Stato che lo aveva mandato in trincea. La mafia ha sparato, ma qualcuno ha voltato lo sguardo. Chi ha permesso che accadesse?

di Andrea Fiore -


Dalla Chiesa, 43 anni dopo. Un mistero italiano che non vuole morire

Palermo, 3 settembre 1982. Una piccola A112 bianca percorre via Isidoro Carini. Alla guida c’è Emanuela Setti Carraro. Accanto a lei, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto della città, mandato lì dallo Stato per combattere la mafia. Dietro, una sola auto di scorta. I killer non lasciano scampo. Raffiche di kalashnikov, poi il silenzio. Il generale muore all’istante. Sua moglie, colpita a tradimento, viene crivellata. L’agente Domenico Russo morirà poche ore dopo. Una strage.

Lo Stato, il giorno dopo, si indigna. I politici si affrettano a commemorare. Le prime pagine gridano vendetta. Ma sotto le parole, si apre una voragine.

Carlo Alberto Dalla Chiesa era stato mandato a Palermo per combattere un mostro che conosceva bene. Aveva già sconfitto un altro nemico feroce: il terrorismo. Le Brigate Rosse lo temevano. Lo Stato si fidava di lui, almeno finché faceva comodo. Poi, qualcosa è cambiato. A Palermo, al contrario di quanto promesso, non gli diedero alcun potere reale. Nessuna legge speciale, nessun mezzo adeguato. Solo una scrivania e il peso di una città che affondava nella paura.

Lo aveva detto, senza giri di parole, in un’intervista rilasciata poco prima di morire:
“Mi mandano in trincea con un tamburello”.
Sapeva di essere solo. Lo sapeva così bene che scelse di guidare da sé la propria auto, con la moglie accanto. Una scelta che somigliava più alla rassegnazione che al coraggio.

A distanza di 43 anni, si continua a dire che fu un delitto di mafia. È vero, la mano che premette il grilletto era mafiosa. Ma il contesto in cui maturò quell’assassinio porta a pensare che Cosa Nostra non fosse l’unica ad avere interesse a eliminarlo.

Dalla Chiesa stava toccando fili scoperti. Aveva intuito che la mafia non era soltanto lupara e minacce, ma un sistema di potere intrecciato con pezzi dello Stato, con settori della politica, con interessi economici protetti da silenzi antichi. Aveva nomi, appunti, indizi. E forse sapeva molto più di quanto avrebbe dovuto.

Ci sono domande che, a distanza di anni, non hanno trovato risposta.
Perché non fu protetto come meritava?
Perché, in una Palermo insanguinata da omicidi eccellenti, il prefetto fu lasciato girare senza scorta adeguata?
Perché si accettò che fosse solo?

C’è poi un’altra pista, quella che inquieta ancora di più. Quella che lega la sua morte al memoriale di Aldo Moro. Una versione integrale, mai resa pubblica, che sarebbe emersa nel covo delle Brigate Rosse di via Monte Nevoso, a Milano. Lì dove operò anche Dalla Chiesa. Si dice che avesse letto quelle carte, che contenessero nomi importanti, legami pericolosi. Alcuni dicono che ne parlò con Mino Pecorelli, un giornalista troppo informato per vivere a lungo. Anche Pecorelli venne ammazzato, tre anni prima del generale.

Non è mai stato dimostrato nulla, ma i fili sembrano allacciarsi in una rete che puzza di alto tradimento. Una verità troppo scomoda per venire a galla. Si è parlato di massoneria, di servizi segreti deviati, di politici impauriti. Tutto messo a tacere, tutto archiviato. Come accade spesso in questo Paese, quando il sangue sporca anche le mani dei “buoni”.

Il processo ha condannato i mandanti mafiosi. Riina, Provenzano, Greco, gli altri. Ma la verità più profonda non è mai stata davvero cercata. Forse perché la risposta farebbe troppo rumore.

Oggi, dopo più di quattro decenni, il generale Dalla Chiesa è diventato un simbolo. Gli intitolano strade, scuole, caserme. Ogni anno una corona di fiori, un minuto di silenzio, qualche frase di circostanza. Ma l’Italia non ha mai avuto il coraggio di fare luce su quella notte. Non fino in fondo. Non davvero.

E allora resta il dubbio, amaro come il sangue versato in via Carini: fu davvero solo la mafia a volere la morte di Dalla Chiesa? O fu anche lo Stato a permetterla?

Una domanda che nessuno vuole più fare. Ma che, ogni 3 settembre, ritorna.
E brucia.


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