Lavoro

Dalla Germania alla Sicilia, lo spettro delle sanzioni Ue alla Russia spaventa gli operai delle raffinerie

La raffineria PCK di Schwedt, al confine tra Germania e Polonia, è di proprietà della società energetica russa Rosneft. Ciò significa che se e quando le sanzioni dell'Unione Europea entreranno in vigore, sarà Berlino a risentirne, sia in termini di posti di lavoro che di carenza di materia prima. Vi sono infatti due problemi: il primo è che la sostituzione dell’esportazione di petrolio greggio russo con altro olio richiede molto tempo e investimenti onerosi. Il secondo è che gli stessi proprietari russi non scorgono alcun vantaggio nell'intraprendere tali operazioni, dato che all’orizzonte per loro si profila il rischio di sequestro dei beni in Europa.

di Ilaria Paoletti -


Ilshat Sharafutdinov, presidente del consiglio di amministrazione della raffineria di Lukoil di Neftokhim Burgas in Bulgaria, ha dichiarato all’agenzia di stampa russa Tass che se le forniture di greggio da Mosca si interrompessero, l’impianto bloccherebbe le operazioni. Nella raffineria PCK, intanto, c’è agitazione tra i dipendenti: “Abbiamo bisogno del petrolio russo. Manteniamo le nostre case e le nostre famiglie. Se il governo smetterà di importare olio russo, l’intero territorio morirà”, ha detto Thorsten Scheer, uno degli operai, a Afp. L’impianto, dove lavorano 1.200 persone, elabora esclusivamente petrolio greggio russo da un ramo dell’oleodotto Druzhba, l’oleodotto più lungo del mondo. Fornisce circa il 90 per cento del petrolio consumato a Berlino e nella regione circostante, compreso l’aeroporto di Berlino-Brandeburgo. Robert Habeck, ministro dell’Economia tedesco, si è recato in loco per un incontro con i dipendenti e ha cercato di rassicurare gli operai, sostenendo che il governo sta cercando modi alternativi per mantenere in vita la raffineria. Tuttavia la più grande economia europea ha già ridotto le importazioni di petrolio dalla Russia al 12%, un calo notevole rispetto al dato del 35%, precedente al conflitto in Ucraina. I problemi però non mancano anche in casa nostra: l’impianto Isab di Priolo Gargallo (Siracusa), controllato dalla svizzera Litasco SA, a sua volta controllata da Lukoil, è anch’esso a rischio chiusura causa sanzioni. La raffineria lavora in media 10,6 milioni di tonnellate di greggio raffinato l’anno, il 13,6% del totale nazionale. Sarebbero necessari quasi 700 milioni di dollari per adattare la configurazione dell’impianto a nuove materie prime. Ma dato che il governo ha ventilato l’ipotesi di una “nazionalizzazione temporanea” della Isab, la proprietà russa è riluttante ad assumersi un tale onere. Il polo di Priolo rappresenta uno dei maggiori “datori di lavoro” della regione: vale il 51% del Pil della provincia di Siracusa. Sono ben 10mila i posti di lavoro in bilico. Il sindaco della città siciliana, Pippo Gianni, ha scritto un appello a Draghi chiedendo un commissario speciale. Cambiano gli scenari, ma da Schwedt a Priolo Gargallo, i problemi sembrano essere gli stessi.


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