Economia

Sefcovic torna a Bruxelles col broncio: dazi al 15-20%

Il Financial Times stronca le speranze Ue, ma il vero incubo è la deindustrializzazione dell'Europa

di Cristiana Flaminio -


L’ultimo miglio è sempre il più difficile ma sarà ancora più difficile far digerire all’opinione pubblica europea che, dopo mesi di negoziati, dopo decine e decine di viaggi a Washington, la montagna di Bruxelles rischia, sui dazi, di partorire un topolino. Il Financial Times lancia la bomba. Che poi, in fondo, tanto bomba non è: Sefcovic sarebbe tornato deluso dall’ultimo incontro in America perché gli avrebbero detto che, se tutto andrà bene, le tariffe per l’Europa saranno non più basse del 15%.

I dazi e Bruxelles

Che si sia all’ultimo miglio, più che l’andamento delle trattative, lo dice il tempo. Che, inesorabile, continua a scorrere. La Casa Bianca ha ribadito che la scadenza del 1° agosto non sarà ulteriormente procrastinata. Non sarà certo Trump, per far un piacere agli odiati europei, ad attirarsi addosso le critiche dei suoi e le ironie degli avversari (Taco, do you remember?). Quello che si sa è che nel fine settimana non ci saranno ulteriori interlocuzioni. Ma, spiegano dal Financial Times, l’idea del tycoon è quella di applicare a Bruxelles dazi nella misura del 20 per cento. C’è spazio per trattare, certo. Ma non si scenderebbe sotto il 15 per cento. Epperò il problema non è nella generalità delle tariffe. Perché Trump ha imposto tariffe forti su determinati comparti. E la questione rischia di riguardare da vicino l’Europa perché non ci sarebbe ancora accordo su agroalimentare e automotive, che rischia tariffe al 25%. Inoltre c’è il grande pericolo delle tariffe sui farmaci.

L’incubo deindustrializzazione

Che l’Europa abbia un (serio) problema con l’industria è acclarato. Il dramma è che diverse aziende hanno già deciso di trasferire la loro produzione in America per non finire stritolate dai dazi. Facendolo, spostando negli States la loro produzione, devono chiudere gli stabilimenti in Europa. O almeno parte di essi. E questo, però, non è che l’aspetto macroscopico del problema. Il guaio vero, infatti, sarebbe nel colpo mortale agli indotti, spesso composti da aziende di piccole dimensioni che lavorano con le grandi imprese. Se la loro produzione si sposta in America, le piccole non avranno più clienti. E, a meno di ripensarsi, rischiano di chiudere. Il caso, dunque, è molto più serio e il colpo rischia di far stramazzare un continente, come l’Europa, che ha già serissimi problemi con la sua industria e produttività.


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