Economia

Le lettere di Trump, i dazi cinesi, l’accordo “presentato ai 27”

di Giovanni Vasso -


Tic toc: dazi che vengono, tariffe che vanno; l’Ue, stretta tra America e Cina, tra ciò che potrà accadere e quello che è già successo. Le lancette dell’orologio scorrono. Alcune segnano una data cerchiata in rosso sul calendario. Quella del 9 luglio. Il giorno più lungo, quello in cui si dovrebbe sapere quale sarà il futuro rapporto economico tra i due (ex?) grandi alleati al di là e al di qua dell’Oceano Atlantico. Donald Trump, che sa trattare e che alterna bastone (spesso) a carota (molto meno, con gli europei), ha già detto che la sua amministrazione è al lavoro per redigere le letterine che saranno spedite ai governi mondiali e che regoleranno, dal 9 luglio in poi, i rapporti economici tra gli Stati Uniti e il resto del mondo. Lettere diverse, l’una dall’altra. Su cui trapela poco, pochissimo: si sa solamente che si viaggia in un range imprevedibile di tariffe tra il 10 e il 70 per cento. L’Ue dovrebbe poter contare sui dazi minimi ma a Bruxelles c’è chi coltiva ancora il sogno di stoppare i balzelli alle frontiere e di creare una grande area commerciale comune senza tasse doganali. Uno scenario, allo stato, che non appare granché percorribile. Almeno in questo momento. E perciò le istituzioni Ue, che sanno benissimo di essere nel mirino di Trump che, già dai tempi della sua campagna elettorale a Bruxelles ha dichiarato guerra, tentano di alzare l’asticella. L’ultima, a provarci, è stata Christine Lagarde, governatrice Bce. Che ha chiamato il continente a fare ciò che non ha mai saputo (o voluto?) fare per decenni: diventare un (vero) mercato unico, in modo tale da poter rispondere con maggior forza alle pretese americane. Sembra di ascoltare l’ultimo appello di una Cassandra al contrario. Perché l’eroina troiana vedeva in anticipo cose a cui nessuno credeva mentre Lagarde, come Draghi prima di lei, vede in ritardo cose a cui nessuno continua a non voler credere oggi. Il guaio è che i dazi hanno già sortito effetti prima ancora di essere definiti. Esempio ne è il sistema logistico del Nord Europa, come denunciato da Federagenti: Rotterdam è al collasso, anche per colpa dei dazi, pure perché le aziende temono di rimanere piene di scorte, perché l’incertezza si fa sentire, eccome, sulla logistica. Forse è il caso per i Paesi mediterranei di riprendersi il ruolo che spetta loro. Chissà. A Bruxelles, per adesso, hanno altro a cui pensare. Ai dazi cinesi, per esempio. Già, perché prima della grande nebbia dell’incertezza che spira da Washington, l’Ue aveva deciso di imporre gabelle alla Cina, tra le altre cose, sulle auto elettriche. All’indomani della visita di Wang Yi, ministro degli affari esteri di Pechino che ha rassicurato l’Ue sulle terre rare, è arrivata la batosta: 30% sul brandy. Per l’Italia è un guaio perché le misure tariffarie colpiscono pure le produzioni di grappa. La decisione cinese ha fatto infuriare la Commissione: “Crediamo che le misure siano ingiuste, ingiustificate e incompatibili con le norme internazionali, dunque infondate”. E ancora: “Purtroppo, queste misure fanno anche parte di un modello preoccupante di abuso da parte della Cina degli strumenti di difesa commerciale” secondo cui Pechino “avvia e conduce indagini sulla base di accuse discutibili e prove insufficienti in un breve periodo di tempo. Studieremo queste misure e valuteremo i prossimi passi per proteggere al meglio l’industria dell’Ue e gli interessi economici dell’Ue”. Tic Toc, qui il tempo disponibile è già passato e i dazi sono già in vigore. Se qualche avvicinamento con la Cina c’era stato, adesso (almeno sul piano pubblico), si sconta un allontanamento. Per un amico che va, un commissario che torno. Maros Sefcovic è rientrato da Washington dove, ha scritto su X, ha avuto “una settimana di lavoro produttiva”. Dopo il ritorno a Bruxelles “il lavoro continua” con “l’obiettivo invariato” di un “accordo commerciale transatlantico valido e ambizioso”. Ciò che non è riuscito ai tempi del Ttip potrebbe verificarsi ora? Chi può dirlo. Intanto le bozze sono state consegnate ai 27 che adesso dovranno valutarle insieme proprio a Bruxelles. Perché pure a Washington hanno altro a cui pensare. Alla Cina. Che non ha escluso nuove tensioni se l’America non terrà fede a quanto proclamato e, soprattutto, se continueranno ad arrivare “minacce” che Pechino ritiene inaccettabili. Sempre una questione (anche) di chip. Ingarbugliata eppure semplicissima: vince chi ha la mano migliore, il guaio è che l’Ue al tavolo, non a quello dei dazi ma a quello più importante della rilevanza internazionale, non sembra essersi proprio seduta. Tic toc.


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