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Tra debiti e crisi, l’Italia ripiomba ai primi anni ’90

di Cristiana Flaminio -


La solita storiella: ogni crisi nasconde, in realtà, un’opportunità specialmente in mezzo ai debiti (degli altri). È uno dei mantra del self-help, uno dei capisaldi della retorica motivazionale che, dai libri a buon mercato, si è trasferita pari pari sui social. Ogni crisi è un’opportunità, già. Ma la crisi, come i debiti, è di tutti, l’opportunità è per pochissimi. E, di solito, ricchissimi.
Con un’economia che ristagna, con le decisioni oltranziste della Bce ostaggio di falchi che studiano da avvoltoio, l’Italia si ritroverà a dover affrontare una crisi forse peggiore di quella in cui si ritrovò impastoiata all’inizio degli anni ’90. Ricordate? Erano anni di grandi cambiamenti, di inchieste che scoperchiavano i sistemi politici, e di grandi liberalizzazioni. A furor di popolo. Perché si pensava, all’indomani dell’era Reagan-Thatcher, che non ci fosse alternativa al privato. E che solo la parola pubblico fosse ormai il retaggio di un passato, recentissimo, ma carico di inefficienze, di ombre, di fallimenti. Del resto, persino l’Urss era crollata su se stessa. Ma furono anni di grosse speculazioni, di smembramenti, di vendite purché fossero. Un’era che, oggi soggetta a un’ampia revisione, ha un volto: quello di George Soros. L’uomo che ha guadagnato una montagna di soldi sbaragliando, da solo, la Bank of England e la Banca d’Italia. Il finanziere che costrinse la lira e la sterlina, la più debole e la più forte valuta europea di allora, a uscire momentaneamente dallo Sme. Da un grande potere, come insegnano i fumetti americani, derivano grandi responsabilità. E da quel momento George Soros, che ha svelato come fosse fragile un sistema che altrimenti si riteneva infrangibile incassando miliardi sulla pelle di due nazioni, è diventato il Signore Oscuro dei Complotti.
Ora alle porte (siamo sicuri? O ci siamo già dentro?) c’è una crisi che promette di ridimensionare l’Europa. E di riportare la sua economia alla statura delle sue istituzioni. Il nano politico sarà anche un nano economico. Per l’Italia, che è un Paese estremamente indebitato e che a luglio ha toccato un nuovo record di deficit, è praticamente certo che si aprirà una nuova stagione di svendite, di saldi, di occasioni da non perdere. Per la grande finanza internazionale. Quando c’è crisi, c’è fame. E chi possiede i capitali da spendere ha in mano il pallino del gioco. I gioielli dell’economia potranno finire in mani straniere. Un po’ come sta accadendo nel calcio. La Serie A (e buona parte del resto d’Europa) annaspa nei debiti? Ecco che arrivano i sauditi a strappare talenti e giocatori a cifre a cui è impossibile dire di no. Se è vero che il pallone, spesso, rappresenta uno specchio fedelissimo della realtà, dobbiamo aspettarci che presto riapra il gran bazar Italia. Del resto, se persino gli Agnelli-Elkann pensano di vendere la Juve (ma Exor ha smentito), vuol dire che oggi tutto è possibile.
Solo che, stavolta, non ci sarà nemmeno la consolazione di dare un volto agli speculatori internazionali. Che hanno rinunciato a dare pubblicità a nomi e cognomi e si manifestano, oggi, sotto forma di fondi. Ce ne sono per tutti i gusti. Da quelli statali (come il saudita Pif) fino a quelli che operano privatamente sui mercati dell’alta finanza. Con sigle, numeri e dividendi. Senza volti. Ogni crisi nasconde un’opportunità. Giusto. Solo che la crisi (e i debiti) la paghiamo tutti, dell’opportunità approfitteranno in pochissimi.

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