Cultura & Spettacolo

Decidere. Morire. Essere. Se alla medicina manca la filosofia per essere più umana

di Redazione -


DI MATTEO BEDETTI

 

Secondo il sentire comune la filosofia sarebbe una disciplina astratta e distaccata dalla realtà, motivo per il quale di primo acchito potrebbe sembrare che non vi possano essere particolari punti di collegamento tra quest’ultima e una disciplina così pratica e così “immischiata” con le vicissitudini quotidiane della vita umana come la medicina. In realtà, quando la filosofia decide di non chiudersi nella torre d’avorio dell’autoreferenzialità, ma di aprirsi al mondo e ai suoi problemi, può rivelarsi un’alleata fondamentale dei saperi scientifici, e la biomedicina non fa eccezione. L’ultimo saggio del filosofo della scienza Giovanni Boniolo “Decidere, Morire, Essere nella Medicina di Oggi”, edito quest’anno da Mimesis, intende proprio dimostrare con forza questo punto, proponendo (tra le altre cose) un modello di filosofia molto diverso da quello che il lettore comune probabilmente ha in mente.
Boniolo, infatti, già dalle prime pagine del libro, rivendica con forza un modo di fare filosofia che è ancorato alle situazioni reali che i malati, chi se ne prende cura e il personale sanitario tutto devono affrontare tutti i giorni e alla conoscenza empirica di cui disponiamo oggi, e rifugge da ogni speculazione indifferente alla conoscenza scientifica e da ogni ricorso a esperimenti mentali fantascientifici. E soprattutto, è una filosofia che non ha paura di “sporcarsi le mani” e fare i conti con le conseguenze etiche, sociopolitiche ed esistenziali delle pratiche mediche. Una visione nello spirito del noto storico della filosofia Pierre Hadot, secondo la quale quest’ultima deve essere un tentativo di fornire soluzioni ai problemi dell’uomo.
Il linguaggio utilizzato da Boniolo è semplice ma non superficiale, l’uso del lessico filosofico o scientifico specialistico è ridotto al minimo necessario e ogni termine afferente alla medicina o alla filosofia introdotto viene sempre adeguatamente definito. Ciò è in linea con il lettore ideale di questo saggio, individuato dallo stesso autore nell’introduzione, che può appartenere a una categoria ampia, di modo da comprendere non solo filosofi o ricercatori biomedici ma anche clinici, pazienti, lettori curiosi e tutte le persone che in qualche modo possono beneficiare da una riflessione profonda sui modi di prendersi cura delle persone.
Come suggerisce lo stesso titolo, il libro è diviso in tre sezioni: decidere, essere e morire. Nella prima parte si discute sulle sfide che le nuove frontiere della medicina pongono in materia di scelta. A titolo esemplificativo dello spirito che caratterizza tutto il testo, vediamo brevemente quali siano i contenuti di questa parte. Ipotizziamo che ci venga diagnostica una mutazione genetica rara, potenzialmente letale, che potremmo aver trasmesso ai nostri figli. In una situazione del genere, come ci dovremmo comportare? Chi dovremmo informare? A chi dovremmo far fare il test? Casi come questo hanno profonde ramificazioni etiche, sociali ed esistenziali, che la scienza, senza l’ausilio della filosofia, non è adeguatamente equipaggiata ad affrontare. Per risolvere impasse di questo tipo viene proposta la consulenza etica, in cui una figura apposita ha lo scopo di dialogare con il paziente per aiutarlo a chiarire quale sia l’orizzonte valoriale che guida quest’ultimo, di modo da far sì che egli prenda decisioni che siano in linea con esso. Questa prima sezione si conclude poi con un’analisi delle decisioni cliniche collettive come screening popolazionali e vaccinazioni di massa, temi che tristemente sono diventati estremamente attuali dopo la pandemia del 2020.
La seconda parte, morire, affronta la spinosa questione di fornire una definizione dei concetti di vita e morte, della differenza tra morte clinica e morte biologica e delle conseguenze che queste definizioni hanno per i trapianti. Viene introdotta anche la figura dell’amicus mortis, ovvero del medico che assiste il paziente terminale non soltanto dal punto di vista sanitario, ma anche esistenziale, psico-sociale ed etico, con lo scopo di prendersene cura a tutto tondo e ridurne il più possibile la sofferenza.
Infine, nella terza parte, essere, si discute del tema dell’identità. Qui Boniolo propone un approccio innovativo, denominato del “fenotipo completo”, secondo il quale essenzialmente alla base dell’identità di un soggetto biologico c’è la continuità dei processi epigenetici che nel tempo hanno plasmato il suo fenotipo. Questo approccio viene poi messo alla prova da Boniolo in casi clinici concreti come i gemelli siamesi e la demenza.

Questa è solo una carrellata dei temi che vengono toccati nel libro, ma dovrebbe essere sufficiente a illustrare quale sia l’idea di medicina individuale sostenuta da Boniolo, una medicina umanistica, attenta ai bisogni (non solo clinici, ma anche psicologici, sociali, etici ed esistenziali) del singolo paziente, e incentrata sul rapporto tra malato e persona che se ne prende cura. Certamente avvicinarsi al modello prospettato da Boniolo non sarebbe cosa semplice o immediata (servirebbe forse una vera e propria rivoluzione?) ma è importante non smettere di perseguire una medicina più umana. E nonostante sia lontana dalla perfezione, la medicina scientifica moderna rimane comunque il metodo migliore a nostra disposizione per curare gli esseri umani, come ricorda Boniolo. Ed è bene che nessuno se lo dimentichi.

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