Editoriale

DEMOCRAZIE COL FIATONE

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


L’impressione che fa è una guerra che comincia e non certo una guerra che finisce. E le parole di Giorgia Meloni a Kiev sono una ripartenza dell’Europa verso un destino che ha un orizzonte temporale molto più lungo di quello che un anno fa immaginavamo. Siamo al compleanno della guerra, ed è solo il primo anno. Il problema è dircelo. Sarebbe cioè bello che le democrazie ricominciassero ad essere tali. Non tanto nelle loro proclamazioni ideali, tutti noi cittadini dell’Occidente, che abbiamo vissuto il comunismo, che abbiamo sconfitto i fascismi, che lottiamo per i diritti, chi più chi meno abbiamo l’idea che il mondo migliore sia simile al nostro. No, è venuto il momento di dirci che il nostro piano, per difendere l’Ucraina di Zelensky dall’aggressione di Vladimir Putin, è un piano che necessita di un impegno diretto della Nato sul campo di battaglia ucraino. Perché dopo 12 mesi di morte è evidente che un progetto di pace come quello che avevamo immaginato all’inizio della guerra non è realizzabile senza un intervento diretto. La Nato non può intervenire formalmente sul territorio ucraino. Le strade a questo punto sono due: una guerra logorante e lunghissima che nasconde le vere questioni macroeconomiche e geopolitiche che l’hanno resa possibile, con un finale non scontato, e con un prezzo umano per quanto riguarda chi combatte davvero al fronte e sociale per milioni di cittadini europei. L’altra prospettiva è che la guerra in qualche modo si allarghi, aumentando i pericoli fuori dai confini dell’Ucraina e diventando all’improvviso una guerra mondiale. Non nel senso di una riproposizione del conflitto degli anni Quaranta del Novecento, questo non sarà mai. Ma piuttosto una dimensione indefinita del tempo, dello spazio, degli effetti sulla vita umana, sulla società, sull’economia che il conflitto nato in Ucraina per una questione locale assumerà trasportando le due parti del mondo in campo sul terreno internazionale, come se da sempre i veri attori di questo conflitto fossero Washington, Pechino, un po’ meno Bruxelles e solo in fondo alla lista le vere vittime di questo errore, Kiev e i cittadini dell’Ucraina. La domanda di fronte a questo compleanno celebrato con visite di Stato, da quella di Biden, di cui la Russia era a conoscenza, fino a quella di Giorgia Meloni, che serviva a sgombrare il campo dalle ambiguità che nei giorni scorsi erano emerse a causa delle posizioni personali di Silvio Berlusconi, leader di un partito del governo, è se l’Europa sarà in grado di pagare il prezzo del tempo necessario per ridefinire gli equilibri alla base di questa guerra. La mia risposta è no. Noi non abbiamo abbastanza tempo. Ma non è una risposta pessimistica, è una percezione realistica che hanno tutti gli osservatori esterni di quanto stia avvenendo. È evidente a tutti che l’Europa è entrata in un conflitto per uno stato di necessità, fingendo di non conoscere negli anni passati il rischio di affrontare il conflitto Russo ucraino. Ma è altrettanto evidente che sapeva dall’inizio di non avere le risorse, né la tenuta sociale, per affrontare un periodo di guerra che potrebbe durare, pur con le differenze sul campo, molti anni. La domanda è perché l’abbia fatto. La risposta che tutti danno è perché è un dovere delle democrazie difendere i Paesi liberi che vengono invasi. Ma se davvero questo fosse stato il problema una delle caratteristiche delle democrazie è anche quella di intervenire in maniera preventiva. E né per parte americana né per parte europea questo è stato fatto negli anni cruciali che hanno portato all’invasione russa dell’Ucraina, gesto esecrabile, dal 2014 ad oggi. Quindi o siamo una democrazia smemorata e in balìa dei venti, con poco futuro di conseguenza, oppure abbiamo finto di non vedere qualcosa che oggi dobbiamo affrontare come se fosse stato casuale. Il termine per giudicare quanto l’Europa, che sembra sparpagliata in questa grande battaglia che necessiterebbe di vera unità, sia in grado ancora di reggere alla linea di Biden ce lo diranno le elezioni europee fra poco più di un anno. Ma questo significa, salvo sorprese che non sembrano arrivare, che gli ucraini nel nome di una democrazia violata, affronteranno un altro anno di morte. E questo senza che noi facciamo nulla per fermarlo. Salvo dirci che la resistenza armata è l’unica strada che il grande Occidente sviluppato è stato in grado di produrre per evitare una carneficina, forse anche un genocidio, nel cuore furono più storico territorio. Che oggi chiamiamo, forse sbagliando, Unione.

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