Politica

Derby Salvini-Zaia, dopo le Europee la resa dei conti

di Ivano Tolettini -


Le distanze tra i due non potrebbero essere più marcate. E il lungo derby politico dentro la Lega sta per entrare nella fase più calda. Domenica sera alla chiusa dei seggi cominceremo a capire la piega dei futuri rapporti. Tra Luca Zaia, il governatore più amato, e Matteo Salvini, il leader che ha scialacquato un tesoro elettorale sull’altare di prese di posizioni spesso non digerite dalla base, le Europee rischiano di segnare un prima e un dopo. Per questo il segretario federale ha candidato il generale Roberto Vannacci come indipendente per recuperare fette di consenso, al contrario del presidente del Veneto che non perde occasione per ribadire la sua visione politica e della vita. Non certo sovrapponibili a quella di Salvini. L’ha fatto anche ieri dalle colonne del Corriere del Veneto in una lunga intervista in cui fa capire che non condivide molto della strategia di Salvini. Dall’Autonomia differenziata (“non può essere una merce di scambio col premierato”) al terzo mandato (“non è ancora finita, vedremo come andrà”); passando per il pieno sostegno, senza se e senza ma, a Mattarella (“lo stimo molto, è il garante della Costituzione, quella del ’48, autenticamente federalista”) e il tema a lui caro dei diritti civili (“sul fine vita e sull’aborto va applicata la legge, la Lega cui ho aderito è e sarà un partito liberale, né di destra né di sinistra”), Zaia tratteggia il perimetro del Partito del Nord vicino alle categorie economiche da “europeista convinto, anche se la Ue non ci regala nulla”, prima di sparare la bordata: “Il problema sono le Regioni che non sanno usare i soldi”. Tutto dipenderà dal risultato dei seggi, perché se grazie a Vannacci e alla sua prospettiva fortemente conservatrice, per non dire crepuscolare, Salvini riuscirà a mantenere il consenso delle Politiche, sopravanzando o perdendo poco terreno rispetto a Forza Italia, allora placherà in qualche modo i maldipancia del Nordest, ma se l’esito non dovesse essere favorevole alla strategia salviniana (ricordiamo che la Lega parte dal 34%), qualsiasi ipotesi è sul tappeto. Luca Zaia aumenterebbe il suo peso specifico e in tanti dentro (e fuori) il partito gli chiederebbero di lanciare finalmente il guanto di sfida per la segreteria. Per adesso, comunque, egli pensa a concludere il mandato, considerando che due anni “sono un’era geologica” in politica, privilegiando la strada della coerenza. “La Pubblica amministrazione mi è sempre piaciuta perché posso fare qualcosa per la mia gente”. Ma è sull’Autonomia, il suo cavallo di battaglia per il quale ha convocato i veneti alle urne per il referendum consultivo del 22 ottobre 2017, che non transige, quando dice a chiare lettere che non accetta alcuno scambio con il Premierato. Entrambi sono nell’agenda del governo Meloni, tanto più che il disegno di legge Calderoli è in dirittura d’arriva e già a giugno può vedere la luce. Purché ci sia la volontà politica della maggioranza che ha ampio margine. Sulla candidatura del generale Vannacci ribadisce la bocciatura implicita quando afferma che “votero i nostri candidati e sto girando mezzo Veneto” e che è stata una “prerogativa d’altri”, cioè del segretario Salvini, candidarlo. Lui non l’avrebbe mai fatto perché così facendo ha spostato il partito su posizioni ancora più a destra, non in linea con la tradizione leghista che si muoveva su un terreno centrista né di destra né di sinistra. Dove invece Zaia è d’accordo con Salvini è sui soldi che l’Europa redistribuisce “seppure in misura minore di quanti ne versiamo”. Perciò Bruxelles non è una “benefattrice”, quanto poi ai soldi che l’Italia non sa spendere, il governatore osserva che è una valutazione generica perché “la realtà è che sono alcune Regioni a non usarli a sufficienza”. Per il resto il derby a tutto campo tra i due leader non potrebbe essere più duro, come quello sul ruolo del Presidente Mattarella che Zaia stima molto e “con il quale ho un ottimo rapporto, perciò non gli sono piaciute le parole di Claudio Borghi quando ha invocato le “dimissioni” del Capo dello Stato e quelle iniziali di Salvini il 2 giugno, poi corrette l’indomani. Anche se il governatore serenissimo aggiunge la postilla che “non voglio che le mie parole siano declinate rispetto alle ultime vicende”, resta il dato, politico, che il derby dentro la Lega è arrivato al passaggio cruciale.


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