Diplomazia culturale tra potere e bellezza: Bill Gates, Leonardo e l’Uomo Vitruviano
Il punto di vista del veneziano Mattia Carlin, docente universitario di Estetica a Milano e vicepresidente UCOI, Unione dei Consoli Onorari in Italia
Non possiamo leggere la visita di Bill Gates alle Gallerie dell’Accademia di Venezia per ammirare l’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci come un semplice intermezzo turistico tra le pieghe dorate di un matrimonio veneziano d’élite. Piuttosto, è un gesto che si iscrive in una trama più ampia di significati estetici, simbolici e – non da ultimo – geopolitici. È l’incontro, perfino il cortocircuito, tra il potere tecnologico globale e l’eredità più alta dell’umanesimo occidentale.
Gates non è nuovo a questa sensibilità: l’acquisto del Codice Leicester nel 1994 non fu solo un colpo da collezionista, ma un’appropriazione culturale nel senso più complesso del termine. Portare Leonardo in America, nella patria del digitale, fu anche un atto di diplomazia culturale inversa: non l’Occidente europeo che esporta, ma l’élite tecnocratica americana che importa, custodisce e rielabora simboli della tradizione umanistica per legittimare il proprio orizzonte di senso.
In questo senso, la visita all’Uomo Vitruviano diventa un atto performativo di diplomazia culturale privata. Un gesto che, pur non inscritto formalmente nei circuiti ufficiali della diplomazia statale, ha effetti reali sulla narrazione geopolitica della cultura. Perché quel disegno non è solo una meraviglia rinascimentale, ma una firma visuale della civiltà europea; è il corpo dell’uomo come unità di misura del mondo, come centro di un ordine razionale e, al tempo stesso, simbolico.
Come cambia la visione dell’Occidente
In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale, le biotecnologie e il capitalismo estrattivo sembrano aver dissolto ogni centro, vedere l’Uomo Vitruviano equivale a rimettere l’umano al centro – almeno simbolicamente. Gates, nel cuore della città più fragile e stratificata dell’Occidente, compie un gesto che è insieme intimo e strategico: elegge Leonardo come interlocutore silenzioso, come garanzia culturale di una visione del mondo in cui scienza e arte non sono antagoniste, ma sorelle.
Ma c’è di più. Il fatto che questa visita avvenga nel contesto del matrimonio di Jeff Bezos – altra figura emblematica del capitalismo contemporaneo – suggerisce una saldatura tra potere economico, rappresentazione estetica e legittimazione culturale. Non è un caso che queste élite, nel momento in cui celebrano la loro potenza, cerchino rifugio o ispirazione nei luoghi dove la civiltà ha codificato i suoi ideali più alti. È un modo per iscrivere la propria immagine – e la propria narrazione storica – in continuità con l’eccellenza dell’umanesimo europeo.
La diplomazia culturale, qui, non è quella degli Stati: è quella degli individui che, disponendo di risorse senza precedenti, si muovono come nuovi attori transnazionali. E in questa logica, toccare – con lo sguardo – l’Uomo Vitruviano, significa riattivare simboli condivisi per fondare una nuova egemonia estetica e culturale, che si legittima nel passato per incidere sul futuro.
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