Fatti e parole nel disgelo dei dazi tra Usa e Cina. La tensione è nelle parole, il disgelo nei fatti: ora i dazi fanno più paura all’Europa che alla Cina e al resto del mondo. Beato, diceva Berthold Brecht, il popolo che non ha bisogno d’eroi. Decenni dopo, il suo connazionale Friedrich Merz si offre, non richiesto, come tale a tutta l’Ue. Ma più che un’offerta rivolta agli Usa, pare una puntualizzazione sui ruoli e gerarchie interni in Europa: “Nella mia conversazione telefonica con Donald Trump la settimana scorsa ho detto che, in primo luogo, noi, in quanto Repubblica Federale di Germania, non dovremmo essere il punto di contatto per gli americani, ma che l’America deve poi intrattenere colloqui con tutta l’Europa, con l’Unione Europea, e che sono disposto a parlargli di questa questione a nome dei miei colleghi degli altri Stati membri dell’Unione Europea”, ha detto Merz. Che ha aggiunto la sua proposta: “Due cose: in primo luogo, ridurre il più possibile le tariffe, idealmente a zero, ma allo stesso tempo discutere con gli americani se sia possibile raggiungere un riconoscimento reciproco migliore e graduale degli standard tecnici. Per decenni – ha aggiunto Merz – si è trattato di un problema sottovalutato nella politica commerciale. Si parla continuamente di tariffe, cioè di dazi doganali, ma si parla troppo poco delle barriere commerciali non tariffarie, che sono principalmente standard tecnologici”. Quindi promette: “Andrò anche in America con proposte per arrivare gradualmente al riconoscimento reciproco degli standard tecnologici in determinati settori”. Insomma, Berlino mette in chiaro le cose a Bruxelles: ghe pensi mi. Poco importa se, poche ore prima, il ministro italiano all’Economia Giancarlo Giorgetti aveva ricordato all’Ecofin che “nel contesto del progressivo aumento del commercio elettronico il rafforzamento del meccanismo dello sportello unico possa contribuire a favorire la compliance e l’effettiva riscossione dell’Iva e, nello stesso tempo, a snellire gli adempimenti: dobbiamo ragionare su quello che sta accadendo in Europa, l’autentica invasione di merci a basso costo, in particolare dall’Asia”. Proposta che, chiaramente, non è passata a favore di un compromesso meno rigoroso che ha lasciato un po’ deluso lo stesso Giorgetti. Mentre in Europa si parla, in Cina si fanno i fatti. Pechino ha scongelato le commesse Boeing e ha accettato di acquistare, finalmente, gli aerei già prodotti negli States. Che, a loro volta, hanno ricominciato a riaprire i porti alle navi provenienti proprio dall’Asia. La tregua, anzi il “cessate-il-dazio” regge. Almeno per ora. Anche perché, in tutta risposta, Washington ha deciso di tagliare del 54% la tariffa doganale sui “piccoli pacchi” ossia sull’ecommerce cinese. Fatti, dunque. Che, però raccontano una storia per come è: complessa e irriducibile alle parole. Come quelle pronunciate da Xi sul “bullismo economico che porta all’isolamento”, accompagnate dall’annuncio di prestiti pari a 66 miliardi di yuan (cioè 9,2 miliardi di dollari ma il Dragone, si sa, punta a scalzare il dollaro dal suo ruolo di valuta internazionale di riserva) pronti, da Pechino, per agevolare infrastrutture e porti in tutta l’area caraibica e sudamericana con Brasile e Colombia pronti a firmare i protocolli per l’ingresso nella Via della Seta. Altri fatti, anzi numeri, danno ragione a Trump: in un solo mese di dazi, riporta il Wsj, il Fisco ha incassato 16 miliardi di dollari in più. Intanto l’Us Bureau of Labor Statistics rivela il calo, come anticipato dal presidente, del prezzo dei generi alimentari e quello delle uova, divenute il simbolo loro malgrado della crisi inflazionistica americana, è crollato del 12,7%. Non ditelo ai testoni della Fed che, anche di fronte a queste evidenze, continueranno a tenere una linea ultrarigida di politica monetaria contro cui Trump, per ora invano, continua a sgolarsi. Le parole, però, rivelano tensioni: gli Usa sul fentanyl fanno sul serio, la Cina è stufa di sentirsene addossare la colpa. Fatti e parole. Che s’abbattono, naturalmente, sull’Unione europea, la “più cattiva di tutti”, come ha detto Trump. In ballo c’è la vicenda dei farmaci, che costano troppo negli States. Gli Usa stanno facendo pace con tutti, tranne che con Bruxelles. Almeno per ora. Il gioco, però, rischia di costarci parecchio. Lo sa Dombroviskis che avverte: “I dazi sono ancora troppo alti nonostante la tregua”. Secondo i dati Ey, infatti, il 58% delle imprese italiane ha congelato gli investimenti in attesa di una schiarita che, per ora, non arriva. Lo stallo tiene in scacco anche le borse, almeno quelle Europee, che registrano ieri una giornata interlocutoria. Ma, almeno, conclusa col segno più. Come a Milano (+0,39%). La buona notizia, però, è che, come rileva AllianceBernestein, gli scambi azionari sono rientrati ai livelli pre-dazi. E non è poco, anzi.