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Disney, con la “Pride Collection” Topolino dice addio ai bambini e punta alla clientela Lgbt

Diritti sì, ma soprattutto profitto: grandi polemiche negli Usa per il nuovo merchandising della Disney.

di Ilaria Paoletti -


Si chiama Pride Collection e prevede tazze, magliette e peluche tutti a tema Lgbt. Sono anni, d’altronde, che Topolino fa una corte serrata ai visitatori arcobaleno nei suoi parchi a tema, ove è già possibile assistere alle parate dell’orgoglio omosessuale. “La Disney Pride Collection è stata creata dai dipendenti Lgbtqia+ e dai loro alleati della Walt Disney Company ed è un riflesso dei loro incredibili contributi e del loro posto al centro dell’azienda” – ha affermato la società sul suo sito web, – “siamo solidali con la nostra comunità Lgbtqia+ ovunque”. Alle numerose critiche avanzate negli Usa da parte di associazioni e politici conservatori, i dirigenti di Burbank hanno rifiutato di dare una risposta rimandando semplicemente a un post su un blog pubblicato lunedì da Lisa Becket, vicepresidente senior per il marketing globale della società, che si è descritta come un membro della comunità gay. Nel post, intitolato Condividi il tuo orgoglio, la Becket ha affermato di essere orgogliosa di lavorare per un’“azienda che supporta l’inclusione come valore fondamentale”. La responsabile del marketing ha anche puntualizzato come la Pride Collection sia stata “ideata e progettata da membri e alleati della comunità, per membri e alleati della comunità”. Più prosaicamente, tuttavia, dietro il crescente interesse della corporate per la comunità Lgbt c’è la volontà di aumentare i profitti. Nascono sempre meno bambini, mentre alla comunità Lgbt vengono dedicati loghi e iniziative dalle maggiori multinazionali, soprattutto nel mese del Pride. Da qui, l’esigenza di una ad hoc: una delle maggiori fonti di reddito per la multinazionale è, infatti, rappresentata dalle licenze di merce e dalle vendite al dettaglio, che hanno generato circa 4,2 miliardi di dollari nel 2021, secondo l’ultimo rapporto annuale della società. E c’è un business case nella decisione di far sentire ancor di più “a proprio agio” i visitatori Lgbt dei parchi. Secondo i risultati di un recente sondaggio sugli utenti di app di appuntamenti gay Grindr, i viaggiatori arcobaleno spendono cento miliardi all’anno solo negli Stati Uniti. Un altro sondaggio del 2019 sempre sulla stessa comunità ha rilevato che l’11% di loro ha visitato i parchi a tema nei 12 mesi precedenti. Captare dunque il turismo arcobaleno sembra essere una delle maggiori preoccupazioni per la Disney, che ha nel suo organico anche un responsabile per la “diversità e l’inclusione” e mesi fa ha fatto sapere che nei suoi Disneyland gli addetti non si rivolgeranno più ai visitatori con “signore e signori, ragazzi e ragazze” ma con il neutro “sognatori” e “amici”. Perché le multinazionali si nutrono di guadagni, non dei sogni dei bambini.


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