Donne invisibili: in Italia essere mamma diventa un rischio e un lusso
Festa della Mamma, festa della Donna, giornata contro la violenza delle donne: nel mondo virtuale è tutto un fiorire di messaggi di auguri, di immagini di rose, mimose o scarpette rosse, dichiarazioni di gratitudine per le mamme e di condanna per ogni forma di disparità e di violenza, anche da parte dei nostri governanti di turno. Ma nel mondo reale il proverbio “passata la festa, gabbato lo santo” continua a calzare a pennello. Essere mamma è diventata una scelta sempre più difficile, i dati di continua decrescita della natalità, ormai ai minimi storici, lo dimostrano ampiamente. E le mamme italiane sono sempre più “vecchie”, siamo il paese con l’età media alla nascita del primo figlio più alta in Europa, circa 32 anni. Ma se la scelta di procreare viene fatta e se contemporaneamente si desidera continuare a far parte del mondo del lavoro, a volte per pura necessità economica, ci si scontra con problematiche difficilmente sormontabili. Con la nascita del primo figlio una donna su cinque lascia il lavoro. Il tasso di occupazione femminile nella fascia d’età 15 – 64 anni, secondo l’Istat, è del 53%, praticamente solo una donna su due ha un’occupazione in Italia, mentre in Europa quasi il 70% delle donne ha un lavoro. Ad abbassare la media sono proprio le donne con figli: nel nostro Mezzogiorno solo il 21% delle madri – tra i 25 ed i 49 anni, con basso titolo di studio – ha un contratto di lavoro. Secondo il nono rapporto di Save the Children, “Le equilibriste del lavoro, la maternità in Italia”, nel 2022 quasi 45 mila mamme, principalmente al primo figlio, entro il suo primo anno di vita, hanno rassegnato dimissioni volontarie. Le motivazioni sono legate all’impossibilità di conciliare il ruolo di madre all’impegno lavorativo: mancato accoglimento al nido, lontananza o assenza dei nonni, costi elevati per il baby sitting, eccessivi carichi di lavoro, orari rigidi e non flessibili. Il tempo dedicato al lavoro di cura dei figli, continua a essere enormemente sbilanciato: gli ultimi dati rilevati all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (risalenti al 2018, a conferma di quanto poco sia analizzato il problema) dicevano che le donne italiane dedicavano in media 5 ore e 5 minuti al giorno al lavoro non retribuito di assistenza, mentre gli uomini ne dedicavano solo un’ora e 48 minuti Non stupisce quindi che l’indice di natalità in Italia sia in caduta libera e che gli ultimi dati disponibili attestino 1,18 figli per donna, il dato più basso da quando esiste la rilevazione. Mentre nel nostro paese si continuano a varare misure estemporanee di supporto alla maternità, in molti altri paesi si sono attuate riforme significative a sostegno delle nascite. In Francia, unico paese rimasto stabilmente vicino alla soglia di due figli per donna, vige da tempo un articolato sistema di supporto alla natalità. Le famiglie godono di un sistema di servizi di assistenza eccezionalmente sviluppato: i servizi scolastici ben organizzati con orari favorevoli ai genitori svolgono un ruolo cruciale nel facilitare l’equilibrio tra lavoro e vita familiare. L’assistenza all’infanzia è fornita in asili tradizionali organizzati dai comuni, ma anche in asili familiari dove la cura è fornita da operatori accreditati, asili aziendali e baby parking. Inoltre i bonus economici forniti alle famiglie, specialmente a quelle con bassi livelli di reddito, facilitano la possibilità di avere figli. Altro elemento è la riduzione dell’orario di lavoro a una settimana standard di 35 ore, introdotta per affrontare la disoccupazione e agevolare la condivisione del lavoro, ma con il secondo obiettivo di migliorare l’equilibrio tra lavoro e famiglia. In Germania è possibile lavorare part-time durante il periodo di congedo parentale. L’aumento del numero di padri che usufruiscono del congedo è favorito: dal 2015 i genitori possono utilizzare il loro congedo parentale su base part-time per un massimo di 36 mesi. In questo modo entrambi i genitori possono contemporaneamente combinare il lavoro con la cura dei propri figli. Inoltre le famiglie hanno diritto a un sussidio per l’infanzia per ciascun figlio fino al suo 18º compleanno (o 25º, se continua il percorso scolastico) a partire dai 200 euro mensili, mentre le famiglie con reddito superiore ai 60 mila euro annui hanno diritto a sgravi fiscali. Infine, a partire dal 2013, è stato garantito per legge il diritto ad ottenere un posto in un asilo nido o in un’altra forma di assistenza istituzionale per i bambini a partire dal loro primo compleanno. Le tariffe variano tra gli stati federali, dipendono dal reddito e sono sempre più sovvenzionate dagli stati o, in alcuni luoghi, l’intero costo è a carico del governo locale. È evidente che laddove le famiglie vengono adeguatamente supportate sia dal punto di vista economico che sotto l’aspetto dei servizi di assistenza, è possibile per le future mamme non dover metter in conto di potersi ritrovare costrette ad abbandonare il proprio lavoro e la carriera. E, di conseguenza, ad andare incontro a difficoltà economiche, in un momento storico dove un solo stipendio, spesso, non è sufficiente al sostentamento di una famiglia. Da noi, purtroppo, pare ci si ricordi dei diritti delle donne e delle mamme una volta l’anno, nelle ricorrenze, ma restano le disparità salariali e la parte femminile nei ruoli manageriali, soprattutto in alcuni settori, continua ad essere percentualmente insignificante. E non hanno fine i femminicidi, più di cento ogni anno, come raccontano le cronache quasi giornaliere, ricordando le vittime che hanno lasciato i loro figli orfani o le tante vite stroncate di giovani donne che non potranno mai diventare madri. Eppure chi le ha uccise è stato messo al mondo da una donna, la sua mamma.
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