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Dopo gli hacker russi, ecco i cyberpunk cinesi

di Giovanni Vasso -


Scordatevi gli hacker russi, d’ora in poi sentiremo parlare sempre più spesso dei cyberpunk cinesi. Gli Stati Uniti rivedono la propria politica digitale. Per gli analisti di Washington, la “sfida”, oggi, è quella che arriva dal Dragone. E già esplode il primo caso di una presunta campagna di attacchi hacker che sarebbe stata condotta, e tuttora sarebbe in corso, da pirati asiatici contro obiettivi strategici occidentali.

Operazione in codice Typhoon Volt. Sarebbe questo il nome dell’operazione digitale che Microsoft e l’intelligence Usa avrebbe scoperto e ritenuto riconducibile a “un attore informatico sponsorizzato dallo Stato della Repubblica popolare cinese”. Stando a quanto riferiscono in una nota ufficiale le autorità di cybersicurezza di Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda (i cosiddetti Five Eyes) il gruppo si sarebbe infiltrato in più di una rete di infrastrutture critiche Usa e, presto, Tifone Volt potrebbe “applicare le stesse tecniche in tutto il mondo”. Microsoft, invece, ha affermato che Typhoon Volt è attivo già dal 2021 e che ha già colpito le infrastrutture digitali della base militare americana di stanza sull’isola di Guam. Secondo gli analisti dell’azienda fondata da Bill Gates, l’azione del presunto gruppo filocinese potrebbe “interrompere l’infrastruttura di comunicazione critica tra gli Stati Uniti e la regione asiatica in crisi future”. E, infine, ha sottolineato che “il comportamento osservato suggerisce che l’autore della minaccia intende spiare e mantenere l’accesso (all’infrastruttura) non rilevato il più a lungo possibile”.

Pechino ha sdegnosamente respinto le accuse. La portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, ha sottolineato “la grave carenza di prove” attorno alle accuse tacciano l’Nsa americana e le altre agenzie occidentali di tenere un comportamento “estremamente poco professionale”. La Cina, poi, parla esplicitamente di fake news. “Come tutti sappiamo – ha tuonato Mao Ning -, la Five Eyes Alliance è la più grande organizzazione di intelligence del mondo e l’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati uniti è la più grande organizzazione di hacker del mondo: è ironico che abbiano rilasciato congiuntamente rapporti di informazioni false”. E infine, una stoccata anche a Microsoft: “Per quanto riguarda la partecipazione di alcune aziende questo dimostra che, oltre alle agenzie governative, gli Stati Uniti stanno espandendo anche nuovi canali per la diffusione di informazioni false; non è la prima volta, né sarà l’ultima”. Nonostante le smentite (di prammatica) la tensione tra Usa e Cina, sul fronte del “quinto spazio”, continua a salire. E Washington adesso cambia le sue strategie.

Si sentirà parlare sempre più di cyberpunk cinesi. Ma l’attenzione sugli ormai proverbiali hacker russi resta alta. Il Pentagono ha ufficializzato una nuova rotta per le strategie geo-digitali degli Stati Uniti. Per il dipartimento della Difesa americano bisogna fare tesoro della “lezione” della guerra tra Mosca e l’Ucraina e occorre intensificare la lotta e le operazioni informatiche in modo da “frustrare” gli avversari degli Usa. “La sfida” diventa cruciale e “nel dominio informatico”, l’avversario è la Cina. Perché, il governo cinese, secondo il Pentagono “ha effettuato investimenti significativi nelle capacità informatiche militari e ha autorizzato una serie di organizzazioni per procura a perseguire attività informatiche dannose contro gli Stati Uniti”. Il riferimento è, ovviamente, anche (se non soprattutto) a Typhoon Volt. Sul fronte digitale si può dire che la guerra, a questo punto, sta diventando totale. E durerà per molto tempo. La posta in gioco è alta: la primazia del web. Che è l’ultima frontiera da conquistare per garantirsi un vantaggio strategico fondamentale. Ma la sfida non è solo sui software, sui programmi, sui malware (come quello che secondo il New York Times sarebbe stato inoculato nelle infrastrutture critiche della base Usa di Guam). Ma è anche, se non soprattutto, legata all’hardware.

La guerra dei chip è stato il primo e fondamentale capitolo dello scontro tra titani che è in atto. La Cina ha bocciato i chip prodotti di Micron e gli Stati Uniti hanno risposto ventilando limitazioni agli affari di Changxin Memory Technologies. Intanto da Washington hanno affermato che le ragioni che avrebbero portato Pechino a bandire Micron non sarebbero basate su fatti, ricostruzione che i cinesi, da parte loro, smentiscono categoricamente. Lo scenario attorno al quale si snoda la vicenda è più ampio. Ed è legato alle nuove strategie geo-politiche Usa e occidentali, che puntano al reshoring, cioè al rientro in patria dei suoi campioni digitali e tech. Gli stessi che, negli ultimi decenni di globalizzazione, hanno delocalizzato la produzione in giro per il mondo portando (anche, se non forse soprattutto) in Cina competenze e know how. Ora che il Dragone si mette alla testa di un movimento di Stati che punta a modellare un sistema globale basato sulla multipolarità e lanciano un attacco serio al dollaro come valuta internazionale di riserva, gli Stati Uniti tirano i remi della produzione in barca. Intanto gli scenari più a rischio, dall’Ucraina fino a Taiwan passando per il mondo digitale, sono altrettante scintille che possono infiammare un conflitto sempre più rovente.


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