Politica

Dopo il voto delle elezioni regionali Non è vero che il Governo ora è più stabile

di Redazione -


Quasi tutti i commenti al voto del 20 e 21 settembre (suppletive Senato in due collegi, elezioni per presidenti e consigli regionali In Valle d’Aosta, Liguria, Veneto, Marche, Toscana, Campania e Puglia e e amministrative in molti comuni) si sono incentrati sul fatto che il governo Conte-bis ora è più stabile essendo fallita la “spallata” che Matteo Salvini voleva dare all’esecutivo giallo-rosso. Noi ci permettiamo di dissentire da questi giudizi. La compagine governativa, a nostro giudizio, esce da questa consultazione elettorale più debole e frastagliata per una serie di motivi che andiamo ad elencare. NUMERI AL SENATO – Le elezioni suppletive per Palazzo Madama in due collegi hanno consegnato la vittoria al centrodestra che conferma il seggio senatoriale del Veneto e conquista quello in Sardegna, precedentemente occupato dal M5S. Quindi il già debole margine di maggioranza della coalizione di governo si è ulteriormente ridotto e rende sempre più possibile un “incidente” nelle votazioni al Senato con la sconfitta dell’esecutivo. E se questo avverrà in un voto importante la sopravvivenza del Conte-bis sarebbe moLto difficile.ELEZIONI REGIONALI – Il centrosinistra ha cantato vittoria per il pareggio 3 a 3 nel voto (escludiamo la Valle d’Aosta dove il presidente sarà eletto dal consiglio regionale e quindi dalle alleanze che lì saranno stipulate), ma il pari e patta è fittizio perché si partiva dal 4 a 2 in suo favore ed il centrodestra ha conquistato le Marche che, fino a poco tempo fa, faceva parte del “quadrilatero” delle “regioni rosse” (Emilia Romagna, Toscana; Marche ed Umbria). Ma oltre a perdere la regione adriatica, Il Pd è riuscito a confermare Toscana, Campania e Puglia solo “cannibalizzando” i cinquestelle, alleati di governo. I MALESSERI DEI CINQUESTELLE – Questo risultato ha provocato nei pentastellati uno scontro tra le varie fazioni, in particolare tra coloro che vogliono stringere accordi più stringenti con Nicola Zingaretti (una vera e propria alleanza che dovrebbe portare alla scelta di candidati comuni alle elezioni della prossima primavera a Roma, Milano, Napoli e Torino) e quelli che vogliono tornare alle origini del Movimento, quando lo stesso Beppe Grillo affermava che centrosinistra e centrodestra erano ugualmente avversari e che l’unica differenza del Pd dal Pdl era solo la mancanza della Elle. Ora il M5S si avvia verso gli Stati generali che dovrebbero definire nuovi assetti interni e, soprattutto, la scelta di una linea politica, ovvero confermare lo “splendido isolamento” che ha portato al grande successo delle elezioni politiche del 2018 (che hanno portato i cinquestelle al 34% circa dei suffragi) o diventare un partito come gli altri e, come molti sostengono, una “costola” del centrosinistra. Sono scelte non da poco, che molto probabilmente porteranno ad uno scontro durissimo tra le varie anime pentastellate e c’è chi non esclude scissioni dolorose. Questa situazione di malessere non può non avere conseguenze sul governo, in una fase delicata come questa, quando si deve decidere se utilizzare o meno i 34 miliardi di euro del Mes e approntare progetti validi da sottoporre a Bruxelles per poter accedere ai 209 miliardi del “Recovery Fund”. Il Pd, dopo il voto del 20 e 21 settembre, si considera la forza trainante del governo e sta spingendo perché Palazzo Chigi si decida, finalmente, a dire sì al Mes e a modificare i “decreti sicurezza” varati dal governo giallo-verde con Matteo Salvini ministro dell’Interno. Su queste due tematiche, però, c’è da vincere la resistenza dei cinquestelle che già hanno dovuto abdicare a dei loro principi prima in alleanza con la Lega ed ora con il Partito Democratico. Cedere su entrambi i fronti – e soprattutto sul Mes – sarebbe destabilizzante per il Movimento che, almeno nell’ala governativa, vorrebbe evitare traumi nella maggioranza cedendo alle richieste degli alleati di governo ma che deve anche tener conto dello smarrimento di molti suoi elettori che hanno visto nell no al Mes uno dei “cavalli di battaglia” dei pentastellati. L’OMBRA DI MARIO DRAGHI – Ad aggravare la situazione di Giuseppe Conte c’è poi il fatto che sono in molti, anche all’interno della maggioranza, a credere che l'”avvocato del popolo” non sia in grado di portare il Paese fuori dal guado dove è stato portato dal coronavirus, soprattutto quando un Mario Draghi libero da ogni impegno e molto stimato in Europa. Entro il 15 ottobre l’Italia dovrà recapitare a Bruxelles un primo quadro di progetti e di interventi per poter accedere ai fondi del “Recovery Fund”. Al momento di questo piano si sa molto poco perché da Palazzo Chigi trapelano poche informazioni: Sarà pure giusto, ma in tanti c’è il timore che non si sappia quasi nulla perché c’è ancora molta confusione sul da farsi. In questo contesto, a mettere in ulteriore difficolta’ il governo c’è la vicenda del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, a suo tempo indicato ai vertici dell’ente previdenziale dal M5S. Il fatto che il suo stipendio sia aumentato, in piena epoca covid, da 62 mila a 150 mila euro mentre l’Inps non è riuscito a corrispondere a tutti gli aventi diritto la cassa integrazione e mentre i pentastellati, ottenuto il taglio dei parlamentari. annuncia una nuova battaglia per il taglio degli “stipendi” di senatori e deputati, ha fatto scatenare l’opposizione che ne chiede le dimissioni e creato forti malumori nell’area della maggioranza. Per concludere, c’è anche il problema della scuola, con genitori, studenti e sindacati che criticano l’operato di Lucia Azzolina, ministro dell’Istruzione, contro la quale la Lega ha presentato una mozione di sfiducia al Senato. Allora, governo più stabile? Non lo crediamo proprio.


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