Ambiente

Dopo la fine delle ideologie, verde e blu  saranno i colori della politica

di Redazione -


 

 

La buona politica può ancora salvare il Pianeta. La tesi dà speranza, perché arriva come un raggio di luce a rischiarare la notte di questa tormentata fase della storia. A sostenerla Luciano Floridi, tra i pensatori più autorevoli della contemporaneità, professore ordinario di Filosofia ed etica dell’informazione presso l’Università di Oxford. Lo studioso dedica un saggio molto denso – Il verde e il blu – con la precisa finalità di offrire idee “ingenue” per migliorare la politica e per rivedere i fondamenti della democrazia, nella prospettiva di creare presupposti credibili per la costruzione di una società matura dell’informazione.

Per comprendere meglio la trattazione è sicuramente utile prendere in considerazione due scritti precedenti dello stesso autore: La quarta rivoluzione e Pensare l’infosfera . Il primo affronta le implicazioni economiche sociali e culturali determinate dal cambio di paradigma dall’analogico al digitale. Reale e virtuale – questa la tesi di fondo del libro – sono categorie dell’essere che non è più possibile separare, il mondo in cui viviamo è il risultato della densa contaminazione tra questi due ambiti.

Un “salto” in avanti così netto ha infatti bisogno di una filosofia per essere spiegato. Filosofia, intesa come elaborazione di un pensiero sistematico per comprendere la natura stessa dell’informazione, per prevedere e gestire l’impatto etico dell’ICT (Information and Communication Technologies) su di noi e sul nostro ambiente, per migliorare le dinamiche di sviluppo della web society e, non ultimo, per individuare un percorso di senso, nel solco di una globalizzazione contrassegnata da molte contraddizioni. Pensare l’infosfera è lo scritto che dà forza e dignità alla speculazione “utile”, libera dagli inutili orpelli dell’erudizione, capace per questo di tornare a rivestire la funzione di disciplina orientata alla lettura del presente e all’individuazione di soluzioni praticabili dall’umanità. Quando l’esercizio del pensiero segue questi canoni, assume i contorni innovativi del design concettuale. Su questa visione del mondo e delle cose si innesta l’ultima opera: Il verde e il blu.

L’ambizioso percorso di rinnovamento si snoda attraverso i due “colori-concetti”, che dovranno guidare un itinerario di profonda trasformazione della società. Per cambiare strada, infatti, «Istituzioni e aziende dovrebbero per prime comprendere che il digitale (il blu) non è la ciliegina sulla torta, ma l’intera torta della nuova economia, così come il verde non è un costo, ma un investimento necessario senza il quale sarà impossibile reggere i ritmi dell’evoluzione scientifica e tecnologica». «La festa non è più per noi, il mondo non è a nostra disposizione, dobbiamo adottare una decentralizzazione dell’Io, per ritrovare la dimensione dell’ecosistema e per rispettarla».

Il libro è costruito su una fiducia di fondo: esiste la “politica buona”. La prova storica di questa affermazione, asserisce con nettezza disarmante Floridi sfidando ogni scetticismo di maniera, ci è data dalla nostra Costituzione, testo mirabile per sintesi di visioni, esigenze e posizioni ideologiche diverse. Ma la fiducia non basta. I guasti del presente impongono un cambio di marcia, un rinnovamento autentico dei partiti, e del modo di esercitare la democrazia. «L’errore – spiega l’autore – è quello di pensare di agire dall’interno di un meccanismo che si è rotto. Non si deve migliorare la politica nella politica, ma per la politica, obiettivo realizzabile a patto di alzare le aspettative dei cittadini. Non accontentiamoci del menù a prezzo fisso pensando che ci sia un unico ristorante nel paese, ma obblighiamo chi sta al potere ad arricchire la propria offerta, con trasparenza, qualità e impegno».

Il progetto umano che ha in mente Floridi è di vaste proporzioni, per questo in un intero capitolo del libro enuncia ben cento tesi, che rimettono in discussione tutto l’intero vocabolario della scienza e della filosofia della politica: democrazia, stato, pubblica amministrazione, sovranità, ambiente, giustizia, solidarietà, cittadinanza, sono tanti i concetti che finiscono sotto la lente dello studioso. Il prerequisito per quella che si presenta come un’opera di trasformazione ciclopica, soprattutto se affrontata senza i giusti strumenti culturali e professionali, risiede nella capacità/volontà di tornare ad elaborare strategie di lungo termine, capacità che sembra da troppo tempo smarrita da parte delle élites. Detto in estrema sintesi: la miopia non può essere ammessa quando c’è da mettere mano ai fondamenti del contratto sociale in tutte le sue articolazioni. L’autore si serve sovente di metafore semplici per far passare messaggi complessi. In questo caso ricorre alla musica: «Occorre dare il “la” ai nostri governanti – proprio come si fa con un’orchestra – perché cominci a suonare con la giusta armonia. Vuol dire in concreto cominciare sul serio a prendersi cura dell’ambiente sociale, politico, fisico, geografico, tecnologico che ci circonda. La mia idea di verde ha un’accezione molto vasta, quando parlo, invece, di blu, intendo volgere l’attenzione a quegli strumenti della tecnologia che stanno cambiando le nostre vite: Rete, 5G, intelligenza artificiale, piattaforme social, smartphone sempre più sofisticati…».

Il saggio di Floridi risente della sofferenza della contemporaneità. La scrittura è figlia di un pianeta ferito nella coscienza, e oggi ancor più sfiancato nel corpo dalla pandemia. La malattia che non ha risparmiato nessun angolo del globo è, infatti, l’ultimo alert che dovrebbe portarci a capire che dobbiamo cambiare strada. «Aziende e Istituzioni dovrebbero comprendere che il digitale non è la ciliegina sulla torta ma l’intera torta, così come il verde non è un costo ma un investimento necessario senza di cui sarà impossibile reggere i ritmi di trasformazione della contemporaneità».

Due immagini della storia recente possono riassumere la sofferenza di questi difficili anni. La prima: il terribile ritrovamento di Aylan il bambino curdo-siriano rinvenuto su una spiaggia, fotografia terribile di un mondo che ha smarrito il senso di umanità e di una civiltà come quella occidentale che sembra aver perduto secoli di progresso, negati nel sonno della morte di quel bimbo innocente. La seconda, diventata l’icona di una nuova centralità dei giovani, è stata, come è noto, espressa dalla denuncia di Greta Thumberg che ai grandi della terra rivolse il famoso monito: «Non vi perdoneremo mai perché ci avete rubato i sogni». Quasi fosse una riedizione de L’Urlo di Munch, la giovane svedese è riuscita così a dare voce a un dolore profondo e indicibile, espressione di sgomento, terrore, paura, facendo cadere con il suo gesto definitivamente “il velo di maya” della finzione.

Di fronte a tutto questo la politica non può avere logout: l’immagine tratta dal mondo dell’informatica non è solo un modo originale escogitato da Floridi per affermare un convinto europeismo, perché problemi epocali come giustizia sociale, povertà crescenti, diseguaglianza, diritti delle minoranze, global warning, inquinamento atmosferico, regolazione dei flussi migratori non ammettono soluzioni limitate e parziali. La “cinquecento” si è fermata, bisogna spingerla insieme, non basta uno che gira la chiave. In quest’ottica anche la sovranità deve essere aperta e interdipendente, in contrapposizione a chi alimenta rigurgiti di un tardo nazionalismo che non può avere prospettiva. «Quando si cominciano a usare parole come popolo, nazione, razza, l’individuo rimane schiacciato, con buona pace dei diritti di libertà costati anni di lotta e di sacrifici». Rendiamoci conto che si è ormai esaurito tutto il quadro mentale che ha dominato il secolo breve, bisogna uscire da una concezione economicistica della politica per comprendere che non esiste solo il contratto sociale, quale pavimento solido su cui abbiamo poggiato la civile convivenza. È venuta l’ora di passare dal «contratto sociale al trust universale». Questo che si configura come un “salto quantico” può aiutarci a percepire il pianeta come un’eredità ricevuta, che va curata e lasciata alle future generazioni in condizioni di salute e di vivibilità alte. La rigida certezza che tutto si risolva in un contratto è legata a una mitologia e a una narrazione che non ha riscontri nella quotidianità Ciascuno di noi nasce in circostanze particolari, è “gettato” nel mondo (in questo le riflessioni di Floridi ripercorrono alcune posizioni che richiamano l’esistenzialismo di Heidegger), deve perciò sentire con responsabilità il sentimento etico del rispetto dell’ecosistema. Su questo si innesta un altro termine importante “il capitale di cittadinanza”, definizione che nulla ha in comune con il più noto reddito che tante polemiche ha generato alle nostre latitudini. Siamo sempre dentro il perimetro dell’eredità (il trust) che abbiamo ricevuto in dono, nascendo nella parte più ricca del mondo. Non dobbiamo lapidarla, piuttosto dimostrando talento e intelligenza, dobbiamo cercare di meritare un “prestito d’onore” che lo Stato deve assegnare ai giovani, sapendo che potrà recuperare con gli interessi tutto quello che viene speso per promuovere il capitale dell’ingegno. Qui il rovesciamento rispetto al trend corrente, non potrebbe essere più netto. La cittadinanza, oltre a configurarsi come diritto fondamentale, è un patrimonio da far fruttare, che può tornare utile al fatturato in deficit dell’“azienda Italia”.

Nella nuova prospettiva tratteggiata da Floridi, lo Stato non può (questo è uno dei passaggi delicati della trattazione, anche perché si contrappone in maniera netta alle recenti posizioni neo-stataliste sostenute da molti autori, non solo nel nostro Paese) sostituirsi alla libera intrapresa, non deve in una parola “svuotare” il mercato, ma lavorare per farlo funzionare meglio, in quanto agente relazionale che si muove nel teatro tra altri agenti relazionali, nell’ottica di una gradualità della sovranità. Si fa strada la dinamica di una governance multilivello, che consente di ritrovare la funzione di una Pubblica Amministrazione rinnovata, che nell’orizzonte della democrazia “partecipativa” e “cosmopolita” non potrà limitarsi a difendere i diritti dei cittadini, perché è parimenti importante rendere facile l’esplicazione dei doveri per migliorare l’efficienza e la produttività di tutto il sistema-Paese. Solo a queste condizioni, «la politica potrà tornare con i piedi per terra, ritrovando lo spirito di missione e di servizio, evitando di gestire la velocità dei cambiamenti, piuttosto impegnandosi a determinare la bontà della loro direzione». Un aspetto, quest’ultimo, che dovrebbero tenere a mente le nostre classi dirigenti, per assumere quelle decisioni rapide, efficaci e coerenti, dalle quali dipendono il destino di intere comunità e, in larga parte, il nostro stesso futuro.

Massimiliano Cannata

 


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