Politica

Draghi-bis, il piano segreto
Conte frena ma c’è uno spiraglio

di Adolfo Spezzaferro -


Assemblea infuocata del M5S, governisti verso la scissione. Conte: “Se non credete in me…”
Ieri nuovo vertice notturno. Ecco i sei nodi per l’accordo, ma la strada è ancora stretta
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Le trattative segrete per l’obiettivo ormai più che conclamato vanno avanti senza sosta: si punta al Draghi-bis ma i partiti della maggioranza non hanno ancora trovato la quadra. Al di là delle dichiarazioni di facciata e delle prese di posizione date in pasto ai cronisti, con ogni probabilità quello che non sappiamo è quanto sta effettivamente avvenendo in queste ore in vista delle comunicazioni del premier Mario Draghi alle Camere previste per mercoledì 20.
Il punto è ovviamente cosa farà il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte: andrà all’opposizione? Voterà la fiducia al governo Draghi-bis? A sentire il leader M5S la parola sta al premier. Lui le richieste le conferma tutte. Su questo fronte prende sempre più piede la possibilità che il M5S si spacchi ulteriormente. Dopo aver perso i parlamentari che hanno seguito il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, draghiani di ferro, ora i 5 Stelle contiani potrebbero ritrovarsi anche senza i governisti rimasti nel Movimento ma intenzionati a votare la fiducia al governo.
Quello che sappiamo finora è che mercoledì deputati e senatori sfileranno sotto i banchi del governo e annunceranno i loro voti davanti al presidente del Consiglio in carica Mario Draghi. Ecco perché per allora i giochi dovranno esser fatti (al netto di soprese dell’ultimo momento). I nodi da sciogliere sono sei e bisogna tenerne conto: a volere Draghi è Biden, ma anche la Nato per la guerra in Ucraina, così come la von der Leyen per la stabilità Ue e il commissaio Gentiloni per i miliardi del Pnrr, ma anche la numero uno ella Bce Lagarde per lo spread e il governatore di Bankitalia per debito pubblico. Sono tutte ottime ragioni per mettere d’accordo tutti.
A tal proposito il dibattito sulla fiducia con il voto partirà da Palazzo Madama. È l’accordo tra i presidenti del Senato Elisabetta Casellati e della Camera Roberto Fico. Tornando alle grandi manovre palesi, c’è la richiesta arrivata da Partito Democratico, M5S, Insieme per il Futuro (il gruppo dei dimaiani), Leu e Italia Viva nel corso della conferenza dei capigruppo di Montecitorio perché si possa votare prima alla Camera e poi al Senato.Richiesta disattesa dall’accordo Casellati-Fico. Il centrosinistra teme come è evidente di ritrovarsi in una maggioranza nettamente sbilanciata a destra. Ecco perché Letta, Renzi e gli altri chiedono di partire dall’Aula di Montecitorio, dove i contiani potrebbero spaccarsi, con i governisti che voterebbero insieme alla maggioranza. Al contrario, a Palazzo Madama, i contiani sono molto compatti: il M5S passerebbe tutto all’opposizione lasciando il Pd da solo in mezzo al centrodestra. Scenario che molto probabilmente farebbe confermare a Draghi le sue intenzioni di dimettersi.
Ma attenzione, se i 5 Stelle governisti annunciassero l’addio a Conte prima del voto, fuori dall’Aula, certificherebbero già l’esistenza delle condizioni per un Draghi-bis. A quel punto, il premier potrebbe revocare le dimissioni e incassare il voto favorevole prima al Senato e poi alla Camera. In tal senso, la decisione di partire dal Senato lascerebbe intendere che questo scenario è possibile. Ovviamente, la richiesta del centrosinistra ha scatenato le ire della Lega. “Siamo alla farsa. Ora Pd e M5S chiedono a Draghi di comunicare prima alla Camera e poi al Senato solamente perché Conte è più debole alla Camera. Giochini vergognosi che vanno contro la prassi che vuole che le comunicazioni del presidente del Consiglio siano fatte nella Camera di prima fiducia, o dove si è generata la crisi. In entrambi i casi, quindi, al Senato”, dicono i capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.
Anche Forza Italia taglia corto. “Noi chiediamo stabilità per il Paese, stabilità che non si può avere con il M5S al governo. La soluzione è o un governo Draghi senza 5 Stelle o si va a votare”. Così il coordinatore di FI Antonio Tajani a margine dell’incontro con Silvio Berlusconi a Villa Grande. L’altro alleato della coalizione, la leader di FdI Giorgia Meloni, non vede che il voto: “Gli italiani non meritano di continuare ad assistere a questo ridicolo teatrino. La parola torni a loro. Appelli, ripensamenti, suppliche e giravolte: per paura di esser sconfitta, la sinistra è disposta a tutto pur di scongiurare il ritorno al voto. Possono fuggire quanto vogliono, arriverà presto il giorno in cui dovranno fare i conti col giudizio degli italiani”, scrive sui social.
Intanto, come se non bastasse il caos che regna in casa penstellata, ci pensa il garante e fondatore Beppe Grillo a seminare ulteriore panico. E lo fa cambiando la foto profilo di WhatsApp pubblicando l’immagine di un barattolo di colla Coccoina. Secondo fonti pentastellate, la trovata di Grillo sarebbe un messaggio rivolto ai parlamentari “incollati alla poltrona”. Per le stesse fonti la foto della Coccoina è da interpretare anche come una smentita del garante M5S ad alcune ricostruzioni giornalistiche delle ultime ore che lo descrivono come irritato se non addirittura “sconcertato” dalla condotta di Conte.
Il leader del M5S mantiene il punto e al termine dell’assemblea dei gruppi si rimette alla volontà del premier. “Draghi deve valutare le condizioni e decidere il perimetro di questo percorso. La nostra linea è molto chiara e coerente”, afferma Conte. Chissà se davvero Draghi domani prenderà in considerazione la possibilità di restare, visto che più che i partiti della maggioranza glielo chiedono il Colle, Bruxelles, Washington e il Vaticano.


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