Economia

Draghi: “La dipendenza dal gas russo è sottomissione”

Ma Cingolani e Franco aprono al compromesso con la Russia

di Alessio Gallicola -

MARIO DRAGHI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO


Non sembra marciare compatto il governo italiano sul fronte gas e sanzioni, che vivono ormai da giorni una fase di stallo con Bruxelles incapace di varare il sesto pacchetto di misure contro la Russia. L’esecutivo continua ad oscillare tra la possibilità di insistere sulla decisione Ue delle sanzioni alla Russia e l’ipotesi di abbracciare la strada del compromesso, sposando soluzioni che non lascino a secco l’Italia fin dai prossimi mesi. In quest’ultima direzione vanno lette le dichiarazioni del ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che in un’intervista alla Stampa non considera possibile per l’Europa bloccare tutto il gas e il petrolio russi, parlando chiaramente di compromesso come unica strada. “Il punto di vista di chi dice che una sanzione non dovrebbe danneggiare chi la fa più di chi la subisce è comprensibile – riflette il ministro – ma si tratta di un problema etico gigantesco perché sappiamo bene che il Pil della Russia è basato sull’export di energia: alla fine la Commissione troverà una via d’uscita, che comunque dovrà essere un compromesso”.

Parola che non sembra appartenere al bagaglio del premier Draghi, fermo sulla linea dura nei confronti di Putin. “L’attuale dipendenza rischia di diventare sottomissione”, rincara la dose il capo del governo, confermando l’intenzione di proseguire con più convinzione sulla strada per l’indipendenza energetica da Mosca: “Sostituiremo il gas russo acquistando dall’Africa”.

Difficile, però, immaginare che l’Europa possa presentarsi unita nella corsa all’inasprimento delle sanzioni, considerati i distinguo che provengono non solo da parte ungherese e bulgara ma anche da altri versanti. Anche perché lo scenario di uno stop al gas russo avrebbe, per usare le parole del ministro dell’Economia Franco a Davos, “un impatto drammatico per l’Italia. Non una recessione ora, ma ci sono rischi per la guerra e il caro-energia”. E proprio la scena europea diventerà il più immediato fronte di discussione del dossier energetico, al centro delle discussioni dei leader durante il vertice straordinario del 30 e 31 maggio.

Resta, comunque, impresa ardua per i Paesi Ue smarcarsi dalla Russia. Se una certezza c’è, secondo l’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, è che del gas russo l’Europa non può fare a meno. Basta guardare al dato delle importazioni, stabili finora, invariate nella quantità rispetto al periodo prebellico. D’altronde i singoli Paesi continuano ad assumere iniziative in ordine sparso e non all’interno di una cornice europea unitaria, tra slanci in avanti (Polonia e Bulgaria) e continui ripensamenti, anche condizionati dal personalismo dell’Ungheria sull’intera questione.

La soluzione, da più parti ipotizzata, è quella degli acquisti comuni, rilanciata a Davos dalla presidente della Bce, Christine Lagarde, che sottolinea la necessità di una manovra europea unitaria, utilizzata come una forte leva negoziale della Ue per conto dei Paesi membri: “Siamo il mercato più grande, possiamo anche essere il compratore più grande. Una politica degli acquisti messi in comune su prodotti come gas, petrolio, minerali sarebbe un’azione concertata formidabile, è arrivato il momento”.


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