Cinema

Duse tra mito e dolore“ritratta” da Tedeschi

di Ivano Tolettini -


Eleonora Duse torna al cinema con il volto e il corpo di Valeria Bruni Tedeschi. In Duse di Pietro Marcello, presentato a Venezia 82, l’attrice offre una delle prove più intense e difficili della sua carriera: raccontare la “Divina” negli ultimi anni, quando il mito si incrina e la donna affronta l’inesorabile confronto con il tempo, con la Storia e con sé stessa. Bruni Tedeschi si misura con un personaggio che non ammette semplificazioni. Eleonora è fragile nel corpo eppure ostinata nello spirito; ha alle spalle una carriera leggendaria, ma davanti a sé un mondo che cambia, travolto dalla violenza della Grande Guerra e dall’avanzata del fascismo. In questo scenario, la sua decisione di tornare al teatro appare come un atto di resistenza: l’arte diventa rifugio e sfida, verità e rivoluzione. La difficoltà di tratteggiare una diva complessa, dal burrascoso rapporto con la figlia Enrichetta, emerge nell’interpretazione di Bruni Tedeschi, che evita l’imitazione per dare vita a un ritratto interiore. La sua Duse non è fissata nella grandezza di un’icona, ma attraversata da contraddizioni: orgogliosa e vulnerabile, nostalgica e ribelle, capace di sprigionare energia improvvisa nonostante la malattia. Ogni sguardo, ogni silenzio, ogni incrinatura della voce restituisce la tensione di una donna che non vuole arrendersi all’oblio. Il film non indulge nella cronaca biografica. Marcello ricorrendo ai primi piani della sua protagonista, mette al centro la frattura tra passato e presente: il teatro come tempio della parola, opposto al nuovo linguaggio che avanza negli anni Venti, il cinema, con cui Duse ha un rapporto irrisolto e doloroso. Bruni Tedeschi trasmette questa tensione con gesti minimi e vibrazioni intime, mostrando un’artista che difende la scena, mentre il mondo spinge verso altri orizzonti. Non manca il confronto con gli uomini che hanno segnato la sua esistenza: Gabriele D’Annunzio, evocato come assenza ingombrante, amante e rivale creativo; e Benito Mussolini, il capo del fascismo che nei primi anni Venti inizia a dominare la vita culturale e politica italiana. La Duse, con la sua indipendenza conquistata a fatica, resta ai margini di quel potere maschile, ma il film suggerisce quanto la sua presenza fosse comunque scomoda, simbolo di un’arte che non si piega alle retoriche del regime, anche se ne accetta i vantaggi, come il ripianamento dei debiti e un vitalizio. Marcello costruisce per Bruni Tedeschi un contesto sobrio, fatto di pause e silenzi, in cui la recitazione diventa gesto politico. È nelle sospensioni e nelle incrinature della voce che l’attrice restituisce la forza di una donna che lotta contro il tempo e contro l’indifferenza. La sua Duse non è solo la “Divina” consegnato al mito, ma una donna concreta, fragile, dolorosamente vera. Il merito di Bruni Tedeschi sta nell’aver trasformato l’icona in un essere umano: non una statua celebrata, ma una figura che attraversa le intemperie della Storia con il coraggio dell’arte. Un ritratto che parla al presente, perché ricorda come il teatro, e il cinema che lo racconta, restino spazi di libertà in tempi di oppressione. Con Duse, Pietro Marcello, costruisce un’opera che interroga il rapporto tra arte e potere, tra memoria e modernità. Una scommessa vinta.


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