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Economia circolare e rifiuti “risorsa”, intervista al professor Luca Andreassi

di Marco Montini -


Luca Andreassi è professore universitario presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa dell’Università di Roma Tor Vergata, titolare della cattedra di Macchine a Fluido, ed esperto in gestione dei rifiuti. Differenziata, economia circolare, smaltimento, incenerimento, discariche, con lui abbiamo fatto il punto sul presente e sul futuro del sistema rifiuti in Italia.

Professore, partiamo dal generale: “economia circolare” ci dia una sua definizione

“L’economia circolare è un sistema economico che non spreca nulla, dove ogni prodotto, materiale o risorsa viene riusato, rigenerato e trasformato all’infinito, proprio come in natura, eliminando il concetto stesso di rifiuto e trasformando la fine di una cosa nell’inizio di un’altra”.

Ma come si traduce in scelte concrete da parte delle Istituzioni?

“Alle istituzioni spetta un ruolo decisivo: emanare leggi e regolamenti che orientino la produzione verso modelli sostenibili, come l’obbligo di progettare prodotti ecocompatibili, la regolamentazione degli imballaggi o la responsabilità estesa del produttore, che obbliga le aziende a gestire il fine vita di ciò che immettono sul mercato. È altrettanto fondamentale prevedere incentivi economici: agevolazioni fiscali, finanziamenti dedicati ai progetti circolari, e sgravi per chi investe in riparazione, riuso e rigenerazione. La pubblica amministrazione può dare l’esempio con acquisti verdi: carta riciclata, mobili rigenerati, edilizia modulare, e servizi condivisi invece che beni di proprietà. Anche la pianificazione territoriale può favorire la circolarità, ad esempio creando eco-distretti industriali dove gli scarti di un’azienda diventano materie prime per un’altra, oppure spazi urbani dedicati al riuso, ai laboratori di comunità e ai mercati dell’usato. Infine, una gestione dei rifiuti allineata agli obiettivi europei — riducendo lo smaltimento in discarica a meno del 10% — chiude il cerchio, trasformando ciò che prima era scarto in una nuova opportunità”.

Com’è, a suo giudizio, la situazione italiana? Possiamo parlare di gestione sostenibile dei rifiuti?

“In Italia siamo ancora lontani da una piena sostenibilità. Il conferimento in discarica è ancora al 20%, il doppio rispetto al limite europeo fissato al 2035. Inoltre, il Paese è diviso: il Nord è dotato di impianti che consentono il recupero di materia ed energia, mentre il Sud — Roma compresa — sconta una grave carenza impiantistica, con rifiuti che spesso finiscono in discarica o esportati all’estero. Il nodo è culturale. Spesso ci concentriamo sulle “R” dell’economia circolare: Ridurre, Riutilizzare, Riciclare, Rigenerare, Rot (compostare). Ma bisogna fare un passo ulteriore: Ripensare. Non solo prodotti o processi, ma il modello culturale stesso. Tutti gli attori del sistema — istituzioni, imprese, cittadini — devono rimettere in discussione abitudini, strumenti e logiche”.

Lei si occupa di innovazione e tecnologie meccaniche: quale futuro per lo smaltimento dei rifiuti e la loro trasformazione in risorsa o energia pulita?

“L’Unione Europea è chiara: la priorità è recuperare materia. Solo dopo, eventualmente, si può ricorrere al recupero energetico, e infine — come extrema ratio — alla discarica. La sfida si gioca oggi sul trattamento della frazione secca residua, l’indifferenziato. Le frazioni “nobili”, separate correttamente, sono già valorizzate dai consorzi di filiera. Ma è l’indifferenziato che resta il vero punto critico. La termovalorizzazione è stata per anni una risposta efficace, ma le nuove tecnologie offrono alternative più sostenibili. Il riciclo chimico — waste to chemicals — consente di trasformare i rifiuti secchi non riciclabili meccanicamente (come il plasmix o il CSS) in materie prime come idrogeno, metanolo, etanolo. Attraverso un processo di gassificazione senza combustione, si ottiene un syngas — un gas di sintesi ad alto valore — che può essere utilizzato in siderurgia o trasformato in carburanti sostenibili. Questa tecnologia non solo riduce del 90% le emissioni di CO2 rispetto al ciclo tradizionale, ma produce una CO2 pura, facilmente riutilizzabile in agricoltura, refrigerazione o industria. Anche i residui solidi del processo vengono valorizzati: frazioni vetrificate per l’edilizia, zolfo recuperabile per l’industria chimica, fanghi ridotti al 4% da smaltire. È un approccio perfettamente integrabile con il riciclo meccanico e altre tecnologie green come l’elettrolisi per l’idrogeno verde”.

Ci fa qualche esempio, professor Andreassi?

“JFE Engineering, multinazionale giapponese, ha già oltre 20 impianti di gassificazione attivi. Dopo aver costruito più di 300 termovalorizzatori nel mondo, ha scelto strategicamente di puntare sulla produzione di materie come idrogeno, urea, metanolo. In uno dei suoi impianti, la produzione di etanolo da syngas è già realtà”.

Tradotto in numeri, ci confronta le prestazioni ambientali di un termovalorizzatore con un impianto di tipo WTC?

“Per fare un confronto: un termovalorizzatore da 600.000 ton/anno produce 6 miliardi di m³ di fumi caldi e 720.000 tonnellate di CO2; un gassificatore, zero fumi caldi e l’82% in meno di CO2. È la nuova frontiera dell’economia circolare”.

La raccolta differenziata porta a porta è ormai realtà in molti territori. Perché si fatica di più nelle grandi città?

“Il porta a porta è stato — ed è ancora — il metodo più efficace per innescare il cambiamento culturale: coinvolge direttamente i cittadini nella separazione dei rifiuti, li responsabilizza. Oggi, però, può e deve essere integrato da tecnologie più avanzate, come le isole informatizzate, accessibili con tessera sanitaria e capaci di accogliere in modo selettivo le diverse frazioni. Non esiste una soluzione unica. Gli amministratori devono ripensare anche il proprio ruolo: l’obiettivo non è fare porta a porta ovunque, ma massimizzare la separazione della materia. Il mezzo può cambiare. La finalità resta la stessa”.

Inceneritore di Roma: qual è la sua posizione?

“L’ho già detto molte volte: Roma ha un disperato bisogno di un impianto per trattare l’indifferenziato. Ma la scelta dell’inceneritore è una soluzione del passato. Personalmente avrei puntato sul riciclo chimico, portando Roma ai livelli delle città più avanzate d’Europa e del Giappone”.

Ultima domanda: i giovani e l’educazione ambientale. Come vede i suoi studenti oggi?

“Vedo ogni giorno ragazzi intelligenti, brillanti, pieni di potenziale. Ma anche disorientati, fragili nella costruzione del pensiero critico, spesso impazienti di fronte alla fatica e alla lentezza del ragionamento. C’è una delega eccessiva all’intelligenza artificiale, non solo nel “fare”, ma nel pensare. E questo è un problema. Oggi il compito dell’università non è più solo trasmettere contenuti — per questo c’è la rete. Il nostro ruolo è un altro: aiutare a orientarsi, a selezionare e interpretare le informazioni, a distinguere tra conoscenza e opinione, tra algoritmo e verità. Aiutare i giovani a dare senso a tutto ciò che hanno davanti. Nulla è più urgente. E più raro”.


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