Editoriale

CHI RIDE SOTTO I BAFFINI

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Di innocenza con la presunzione e basta, tipica dei regimi dove è la politica a decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato sapere. Sarebbe bello che appena il Lider Maximo finisce sotto inchiesta per una complicata storia di mediazione di armamenti con la Colombia tutti i pistolotti degli ultimi vent’anni sulla magistratura assassina della politica finissero in una bolla di sapone per usare l’inchiesta madre contro il simbolo più grande della sinistra italiana tuttora vivente per fini politici. E questo non perché qualcuno tema gli schizzi sulla bandiera rossa, non sarebbero i primi e non riguardano comunque i dirigenti di oggi, ma perché cadrebbe il palco che invece sta montando fondamenta più vaste dell’area berlusconiana originale, da cui il nuovo garantismo giudiziario ha tratto spunto e linfa a dimostrare che quelle posizioni politiche, tanto care al ministro della Giustizia Carlo Nordio, non sarebbero un valore fondativo della nuova destra italiana ma si limiterebbero alla reazione politica a uno scontro che la sinistra ha portato avanti per anni imbracciando gli avvisi di garanzia come manganelli. E se questo Paese non è impazzito del tutto, la vicenda D’Alema non dovrebbe spostare di un millimetro nemmeno quella sinistra manettara che conta avvisi di garanzia, indagini avviate, condanne varie dalla mattina alla sera per attribuire il male solo alla parte politica avversaria, spesso dimenticando di guardare con altrettanta solerzia in casa propria. Ma stiamo pur certi che non sarà così. Perché alla fine la realpolitik e la confusione sotto il cielo della sinistra spingeranno la coalizione di governo a cercare, pure con attenzione dialettica, di incassare da questo capitombolo di Baffino. Anche perché non s’è mai vista una sfilza di coincidenze così ben allineate mettersi al servizio di chi guida il governo. Una sinistra che perde il suo stesso congresso, perché sanno anche i sassi che il Pd inteso come partito organico aveva costruito le primarie per eleggere Bonaccini e invece si è trovato a fare i conti con Schlein; poi le elezioni amministrative dove la sinistra è caduta al tappeto a suon di pugni in faccia; e ancora l’alluvione in Emilia Romagna che ha allungato un’ombra sui due esponenti dei Dem riguardo l’efficienza nell’utilizzo dei fondi per la sistemazione del territorio che l’Unione Europea ha prima stanziato e poi ritirato proprio là. E ora le tante teste moderate fuggite dal partito accusato di essersi chiuso in una sinistra tetra, la difficoltà della nuova segretaria a prendere in mano la linea politica, fra accuse di scomparsa improvvisa e votazioni dei suoi europarlamentari perfettamente in dissenso con la linea indicata ufficialmente dal capo. E in questo quadro di grande caos arriva D’Alema, un piatto prelibato, che potrebbe stuzzicare la gola della destra più di quanto stimoli la razionalità di chi deve comprendere che in questo momento proprio dal governo Meloni D’Alema andrebbe difeso. Vedremo chi tirerà il primo calcio al pallone in questa partita, che potrebbe influire anche sui temi della Giustizia finora rimasti solo annunci da parte del ministro di via Arenula. Perché parlare oggi di limitazione al potere della magistratura, in qualunque forma essa si possa poi manifestare per legge, potrebbe trovare in Parlamento strane maggioranze trasversali, figlie di diverse visioni del futuro stesso dei popoli. Proprio alla luce di questa bomba caduta dentro il cuore di una sinistra certamente diversa nella forma da quella immaginata a fine anni Novanta da Massimo D’Alema, ma pur sempre derivata da quel sistema di potere le cui ramificazioni sia culturali che materiali esistono ancora dentro il grande corpaccione un po’ sbilenco e un po’ ferito dell’area progressista italiana, che ha come obiettivo proporre un’alternativa credibile a Giorgia Meloni entro le Europee del prossimo anno.


Torna alle notizie in home