L’editoriale di Travaglio: quando la notizia non muore mai (anche dopo la Cassazione)
Sulla pagina social “L’editoriale di Travaglio”, il caso Dell’Utri torna d’attualità nonostante la Cassazione abbia archiviato ogni legame con Cosa Nostra. Il giornalismo del “però” non conosce fine.
Il direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, durante la festa nazionale di Gioventù Nazionale, movimento giovanile di Fratelli dItalia, Fenix 2025 Senza filtri. Il coraggio di essere in un tempo nuovo, presso il laghetto dellEur, Roma, 18 settembre 2025. ANSA/ANGELO CARCONI
Il social che non molla mai
C’è una pagina Facebook molto seguita, “L’editoriale di Travaglio”, dove vengono pubblicati gli articoli e gli interventi del direttore de Il Fatto Quotidiano insieme a post di attualità e riflessione politica.
È un punto di ritrovo per lettori affezionati e commentatori sempre pronti a difendere la linea del giornalista, spesso prendendo spunto da ogni suo scritto per rilanciare l’attacco al “berlusconismo eterno” e ai suoi eredi.
L’ultimo post che ha fatto discutere riguarda l’indagine della Procura di Caltanissetta su Marcello Dell’Utri, ipoteticamente coinvolto nella strage di via D’Amelio.
Travaglio richiama la celebre intervista del 1992 di Paolo Borsellino a una TV francese, riscoperta nel 2000 da Sigfrido Ranucci, come possibile chiave di lettura dei rapporti tra Dell’Utri e Vittorio Mangano.
La Cassazione: quel piccolo dettaglio ignorato
Peccato che, mentre i social si infiammano, la Cassazione abbia già messo la parola fine sulla questione.
La Suprema Corte ha escluso qualsiasi legame tra Berlusconi, Dell’Utri e Cosa Nostra, spiegando che non è mai stata provata alcuna attività di riciclaggio mafioso nelle imprese berlusconiane, né nella loro fondazione né successivamente.
La tesi del cosiddetto “silenzio comprato” – secondo cui Dell’Utri avrebbe ricevuto denaro per tacere su presunti rapporti con Cosa Nostra – è stata bollata come “indimostrata e illogica”.
Un verdetto chiaro, netto, ma che sembra non bastare per archiviare la questione agli occhi di chi preferisce il “forse” al “definitivo”.
Il “però” che non muore mai
Travaglio è maestro nel mantenere viva la tensione narrativa anche quando la giustizia ha già pronunciato il suo verdetto.
Non smentisce, non inventa: semplicemente rilancia, con un “forse”, un “potrebbe”, o un “non tutto è stato chiarito”.
È il giornalismo del “però”, una forma di cronaca che si nutre di dubbi più che di fatti, e che sopravvive brillantemente a ogni sentenza definitiva.
Nel suo racconto, ogni archiviazione diventa un nuovo inizio, ogni fine un capitolo sospeso.
Una tecnica collaudata che tiene viva l’attenzione e alimenta un pubblico ormai fidelizzato al sospetto permanente.
La pagina e il suo pubblico
Chi frequenta “L’editoriale di Travaglio” lo sa bene: non è solo una vetrina del direttore, ma anche un’arena di commenti e condivisioni, dove ogni notizia viene filtrata attraverso un unico prisma, quello dell’indignazione ben temperata.
Un pubblico fedele, pronto a leggere ogni vicenda giudiziaria come un nuovo capitolo di un romanzo civile, anche quando i tribunali hanno già scritto la parola fine.
Il caso Dell’Utri è solo l’ultimo esempio di un meccanismo comunicativo che si autoalimenta: la cronaca si trasforma in narrazione, la notizia in battaglia, la sentenza in spunto per un nuovo dibattito.
l giornalismo come eterno ritorno del sospetto
Nel panorama mediatico contemporaneo, “L’editoriale di Travaglio” è un interessante esperimento di longevità narrativa: un luogo dove le notizie non finiscono, semplicemente cambiano forma.
La verità giudiziaria può dirsi conclusa, ma quella editoriale resta aperta, sospesa in un racconto collettivo che si rinnova post dopo post.
La Cassazione archivia, ma la discussione resta accesa.
Perché, in fondo, nell’Italia del commento permanente, ogni sentenza è solo il pretesto per una nuova opinione.
E se la giustizia parla per atti, i social , come sempre, rispondono per impressioni.
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