Attualità

Il premier dimezzato

di Tommaso Cerno -


Come una bugia, quella sul premier dimezzato, finalmente rivelata, l’Italia fa i conti più che con la riforma costituzionale promossa da Giorgia Meloni, con l’urgenza di dirsi tutta la verità. E la verità è molto più semplice di quanto vogliamo ammettere. Il nostro Paese, attingendo a piene mani alla sua secolare tradizione di cose fatte a metà, si trova oggi a decidere se possa esistere una via parlamentare e costituzionale per rendere legge ciò che di fatto gli elettori sono convinti di fare da ormai 30 anni: eleggere o almeno indicare il Presidente del Consiglio dei Ministri. Prima che cominci la solita tiritera ipocrita di ragionamenti in punta di cavillo, sanno anche gli asini che in questo Paese si elegge il Parlamento. O meglio, se vogliamo essere precisi, che un gruppo di persone a capo dei partiti si chiudono a fine legislature in una stanza e, salvo sorprese mirabolanti, segnano su un foglio l’elenco di chi sarà eletto in Parlamento con il sostegno del tutto ininfluente degli italiani che vanno a votare. Ma basta guardare i simboli elettorali e il loro inventore nell’era moderna, Silvio Berlusconi, per rendersi conto che quando abbiamo cominciato a scrivere sulla scheda il nome del presidente che ogni partito o coalizione di fatto metteva in campo come leader, la Costituzione è rimasta quella di prima ma il meccanismo di scelta e di adesione degli elettori ai diversi poli che si sono sfidati in questi decenni aveva al centro della scelta l’indicazione di chi si sarebbe seduto a Palazzo Chigi. E fino a quando i candidati erano due, vale a dire Romano Prodi e Silvio Berlusconi, non c’è mai stato nulla da dire sul fatto che il Presidente della Repubblica a urne chiuse avesse come unica opzione possibile indicare proprio chi fra questi due signori aveva la maggioranza e poteva quindi guidare il governo. Una mutazione non formale della nostra Carta, ma assolutamente sostanziale nei fatti. Immaginatevi se Prodi o Berlusconi dopo la vittoria alle elezioni si fossero trovati a non essere indicati come capi del governo che cosa sarebbe potuto succedere. Come avviene sempre, insomma, in questo Paese è più avanti la gente normale di quanto siano le leggi che dovrebbero regolarle i comportamenti. Questo non significa che noi dobbiamo per forza cambiare la Costituzione, ma non possiamo nemmeno immaginare di gridare allo scandalo se dopo 30 anni finalmente il Parlamento prova, secondo la procedura prevista dai nostri padri, a sistemare le cose. Perché le cose lasciate a metà non funzionano mai e in Italia lo sappiamo molto bene e non solo per quanto riguarda le elezioni del nostro Parlamento. Anzi viene da dire che se la riforma che prevede l’elezione diretta del premier non dovesse trovare una maggioranza adeguata in Parlamento, con il contributo di tutti i partiti, un contributo dovuto perché da destra a sinistra in questi decenni tutte le forze politiche hanno proposto l’adeguamento allo stato delle cose di una Costituzione che dopo Tangentopoli è rimasta certamente il caposaldo della democrazia ma è stata usata a comodo di ognuno e interpretata spesso come era meglio interpretarla a seconda del momento, sarebbe il caso di vietare di illudere il Paese con giochi grafici e utilizzo di simboli adatti solo a un sistema maggioritario a elezione diretta, tornando davvero alla elezione del Parlamento e alla conseguente formazione del governo solo all’interno degli equilibri delle due Camere. Questo vorrebbe dire un sistema proporzionale, dove il Presidente del Consiglio viene immaginato solo dopo il voto. Perché solo così tornerebbe ad esserci una corrispondenza fra quanto il cittadino si illude di fare e quanto davvero è in grado di fare attraverso l’esercizio del voto. Basta metterla in questo modo per capire che è venuto il momento di tentare un aggiornamento. Perché la seconda ipotesi, quella di tornare davvero a un sistema parlamentare, dove i leader dei partiti non sono anche candidati alla guida del Paese, non in maniera automatica, in questo tempo e in questa Italia sarebbe perfino più difficile che immaginare un accordo equilibrato sull’elezione diretta del premier e sulle compensazioni necessarie perché il Parlamento vigili e controlli che il potere esecutivo non travalichi mai, come invece avviene spesso di questi tempi, dentro gli argini del legislatore parlamentare.


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