Cultura & Spettacolo

Educazione Fisica: che noia mortale

di Adolfo Spezzaferro -


Uno spreco di attori, uno spreco di sceneggiatori: Educazione fisica di Stefano Cipani, tratto dalla pièce teatrale La palestra, è un film non riuscito, che per questo non convince. Il tema – delicato e attualissimo – della violenza sessuale da parte di minorenni poteva essere sfruttato al meglio per scuotere le coscienze, per creare un dibattito in stile cineforum, ma così non è stato. Il cast poteva essere la carta vincente per infondere alla vicenda uno spessore da allegoria della condizione umana, ma così non è stato.

 

L’ambientazione claustrofobica – la storia si svolge tutta in interni, nella palestra di una scuola, per l’appunto – sarebbe stata perfetta per far salire la tensione, il thrilling, ma così non è stato. E non per colpa di regia e montaggio che in proporzione hanno fatto miracoli. Il problema del film di Cipani sta nella sceneggiatura. Lo ripetiamo: forse sarebbe bastato attenersi alla classica trasposizione cinematografica, all’adattamento dell’opera teatrale per fare meglio (ché peggio onestamente non si poteva). E invece no, il testo originale di Giorgio Scianna è finito nelle mani dei fratelli registi e sceneggiatori D’Innocenzo. Scelta pessima: anche perché il duo di Favolacce e America Latina – a nostro avviso sopravvalutato – è meno peggio dietro la macchina da presa che con la penna in mano.

Insomma, un film mediocre, senza pathos. Un vero scivolone per il regista del convincente debutto Mio fratello rincorre i dinosauri. Perché la pellicola non riesce a coinvolgere lo spettatore – non c’è immedesimazione, transfert, simpatia, nel senso greco classico del termine: la messa in scena non smuove minimamente la platea. Quando invece gli argomenti trattati e le modalità con cui vengono trattati avrebbero potuto scatenare ogni sentimento, dal disagio e dal rifiuto fino all’indignazione e alla condanna. Ma l’impianto narrativo non convince perché non è credibile. E neanche vengono messi in campo elementi per giocare la carta della sospensione dell’incredulità: il film vuole essere seriosamente realistico. Ottenendo dunque l’effetto opposto.

Questa la trama. I genitori di tre studenti di terza media vengono convocati nella palestra della scuola dalla preside (Giovanna Mezzogiorno, sprecata in un ruolo caricaturale). Franco (un Claudio Santamaria un poco forzato), il padre di Cristian, compra e vende immobili e ha una relazione clandestina con Carmen (Raffaella Rea, che viene dalle fiction e si vede), mamma di Giordano, mentre Aldo (il sempre ottimo Sergio Rubini) e Rossella (Angela Finocchiaro nella veste inedita di cattivissima) – lui adibito all’accoglienza in un ospedale, lei con amatissimo cagnolino al seguito – sono i genitori adottivi di Arsen, un ragazzino di origine africana. La preside ha per i quattro una notizia choc: una compagna di scuola dei loro figli li accusa di averla assalita, immobilizzata e stuprata proprio nella palestra dove sono stati riuniti. Dopo la tipica reazione di rifiuto e di incredulità alla notizia, la volontà disperata di genitori disposti a tutto pur di salvare i propri figli si trasforma in ferocia contro la preside. Contro gli insegnanti che vogliono giudicare i genitori, prima ancora di mettere i voti ai figli. Contro la scuola come simbolo delle istituzioni, che non devono guastare la vita ritenuta perfetta da genitori illusi di avere dei figli d’oro. La situazione degenera sempre più, fino a che non accade qualcosa che fa precipitare gli eventi senza possibilità di salvezza. Per nessuno. Ma i genitori ancora una volta non mollano e danno il loro peggio per uscirne “puliti”.
Dimenticate I nostri ragazzi di Ivano De Matteo o – ancora più distante, a livelli siderali – Carnage di Roman Polanski: qui il gioco al massacro è moscio, senza mordente. Il minutaggio percepito è di gran lunga superiore alla durata reale, per via di una lentezza inaccettabile per un film con cinque persone che parlano in una stanza.
Non fidatevi dunque di chi vi dice che il film è una riuscita denuncia dei genitori-mostri di figli altrettanto mostri che si scagliano contro la scuola e la società civile per puro cinico, bieco egoismo. La pochezza umana dei personaggi qui va di pari passo con la pochezza dei mezzi cinematografici. Il risultato è un film tutto sbagliato. Fin dal principio – che è poi la molla della storia: ma perché mai la preside avrebbe convocato i genitori di tre stupratori prima di denunciare il fatto alla polizia? Prendere per buono questo incipit equivale ad accettare tutto il resto del film, senza alcuna speranza di farselo piacere. A volte il mestiere dello spettatore critico è molto duro. Ma qualcuno lo deve pur fare.


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