Cronaca

L’INCHIESTA – Effetto ‘ndrangheta: così gli zingari sono diventati clan

di Rita Cavallaro -


E integrazione sia. Ma non nella società civile, in quella criminale. Che c’è una parte della comunità rom che quel passo l’ha già fatto lo certificano le inchieste dell’Antimafia e i nuovi equilibri tra i nomadi e le ‘ndrine. È di pochi giorni fa l’operazione Garden, che ha portato a 27 arresti a Reggio Calabria contro le cosche Borghetto e Latella. Quello che può sembrare uno dei tanti blitz contro le famiglie calabresi, in realtà, evidenzia un mutamento assoluto nelle strategie criminali della più potente organizzazione mafiosa italiana. Perché le intercettazione hanno manifestato quella che per gli inquirenti è l’ultima sfida dei boss della ‘ndrangheta: affiliare la comunità rom di Ciccarello nella guerra tra clan.

Dunque non più ruoli di manovalanza, ma un posto al tavolo delle spartizioni dei proventi delle attività illecite. L’obiettivo della “promozione” dei nomadi era guadagnare pezzi di territorio finora in mano ad altre cosche criminali. E non solo in Calabria, perfino nella Capitale, dove l’unica famiglia di origini sinti ad avere potere è quella dei Casamonica. Il clan radicato al Quadraro, nel quadrante est della Capitale, è stato falcidiato da grosse inchieste. A partire da Mafia Capitale, il terremoto giudiziario che ha coinvolto politici e criminali in quel mondo di mezzo che aveva messo le mani sulla Città Eterna. Nelle migliaia di pagine del fascicolo, il potere dei Casamonica era stato descritto attraverso le principali attività illecite della famiglia, dedita a droga e usura. Da allora il ruolo di primo piano dei Casamonica, fino a quel momento coperto da un muro di omertà e da rapporti con insospettabili e politici, è venuto allo scoperto. E il clan, alla morte dello storico capo Vittorio Casamonica, ha voluto mostrare la sua forza e superiorità con un evento simbolo che ha fatto il giro del mondo: il funerale solenne di Vittorio, il cui feretro è stato trasportato su una carrozza trainata da cavalli bianchi, mentre un elicottero dall’alto gettava petali di rosa sulle note del Padrino. L’arroganza del potere criminale che sfidava lo Stato. E lo Stato ha risposto a colpi di arresti che, man mano, hanno portato in galera gli esponenti di spicco della famiglia e sequestrato le ville di lusso, arredate con capitelli e rubinetti d’oro.

Nel corso dei processi è diventata realtà l’ipotesi della Dia, che definisce i Casamonica come la struttura criminale più potente e radicata del Lazio, con un patrimonio stimato di 90 milioni di euro. I giudici dell’ultimo maxi processo contro 44 componenti del clan, che si è concluso con condanne a 400 anni di galera, hanno inoltre messo nero su bianco nella sentenza che il clan di origini sinti è un’associazione criminale di tipo mafioso. Come tale faceva accordi e affari con le altre mafie d’Italia. Erano loro a reclutare i nomadi per compiti di manovalanza, ma ora quel potere smisurato i Casamonica non lo hanno più, così i calabresi hanno pensato di approfittare di quel vuoto nel controllo del territorio per guadagnare terreno. L’operazione Garden, condotta dalla Guardia di finanza e coordinata dalla direzione distrettuale antimafia reggina, ha registrato il piano dei boss calabresi. Emblematica l’intercettazione tra due trafficanti della cosca, mentre parlavano di nuovi assetti di spaccio nella zona di Trevignano Romano, gestita da albanesi. La ‘ndrina non avrebbe avuto difficoltà a scalzare il gruppo e ad acquisire il monopolio perché tanto gli unici veri concorrenti potenti erano ormai fuorigioco. “Gli unici sono in fermo, c’è un tizio con i Casamonica… Casamonica tutti saltati, non ci sono, non c’è più nessuno”, si legge nell’intercettazione. E mentre il clan romano perdeva quota, nel Reggino si intessevano nuovi legami, profondi e sinergici, tra la ‘ndrangheta della provincia e pericolosi esponenti di gruppi criminali appartenenti alle comunità nomade.

Gli inquirenti hanno infatti svelato un nuovo e pericolosissimo volto della ‘ndrangheta che, pur di perseguire i propri scopi e ampliare la potenza economica, sarebbe giunta a stringere patti con le comunità rom, avvalendosi della stabile collaborazione dei loro più temibili esponenti. Rom che sono stati reclutati per il compimento di attività criminali efferate, in un sistema di “do ut des”. In questo modo, i nomadi sarebbero stati non solo legittimati sul territorio, ma, fatto ancor più grave e inedito, avrebbero conquistato uno spazio di autonomia e libertà delinquenziale di estrema pericolosità sociale, mai goduto prima e che, senza la protezione di cosche storiche e potenti, non avrebbero potuto avere.


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