Politica

ELLY SCHLEIN: “All’Italia serve un leader femminista non solo femminile”

di Tommaso Cerno -


La battaglia “parte da noi”. Parte per arrivare dove?
“Per arrivare a cambiare profondamente il partito”.
E come pensa di fare, è da Veltroni che si ripete…
“C’è bisogno di trovare credibilità. Serve visione di futuro, troppo spesso non è stato comprensibile quello che vuole fare Pd”.
Non è un po’ l’acqua calda se restano sempre gli stessi?
“Serve un nuovo gruppo dirigente e cambiare il metodo con cui si costruisce. Non puoi essere tutto e il contrario di tutto perché finisci per non rappresentare più nessuno”.
E lei chi rappresenterà?
“Chi cammina verso il futuro. E i tre temi, intrecciati tra loro, che incontra sono disuguaglianze, lavoro e clima”.
È per fare questo che in Emilia-Romagna che lei e Bonaccini eravate insieme. Era necessario uno scontro a due sul Pd?
“Non c’è nulla di male, nel momento in cui si rischiava di perdere l’Emilia-Romagna contro una destra forte, quella di allora, guidata da Salvini, per fermarla abbiamo messo insieme le nostre diversità. Questo ci ha permesso di governare bene insieme facendo quello che ci eravamo impegnati a fare. E questo nonostante la pandemia in una stagione difficilissima”.
E che differenza c’è dalla destra di Meloni che dovete cercare di sconfiggere?
“Proprio questa. La diversità che c’è ancora oggi tra me e Bonaccini diventa il contributo proprio per dare una direzione chiara all’idea di Pd che vogliamo realizzare. Chiunque vincerà, sarà in grado il giorno dopo di governare insieme all’altro. Sono due linee diverse che al governo hanno dimostrato di poter stare insieme, ma siccome siamo all’opposizione, e al governo dobbiamo arrivarci, questo è il momento della chiarezza”.
Siete diversi, si può sapere in cosa?
“Io sono l’unica di non aver fatto parte della classe dirigente che ci ha portati fino qui”.
Intende i dirigenti che anziché vincere le elezioni e fare un governo da 15 anni le perdono e fanno un congresso: Bersani, poi Renzi, poi Letta?
“Proprio a questo modello. Sicuramente le mancate vittorie hanno prodotto governi di larghe intese e la mia storia nasce in opposizione. Contestavamo le larghe intese per paura che diventassero strutturali e facessero sfumare le differenze tra destra e sinistra. Ci avevamo visto lungo, è successo esattamente questo”.
Sembra una maledizione, come la romperà?
“Dobbiamo rifuggire la tentazione del potere per il potere. Non basta l’idea di di essere bravi ad amministrare. Essere amministratori non è una linea politica. Dobbiamo rompere una maledizione ritrovando credibilità nelle persone che dovremmo rappresentare. Dobbiamo ricucire le fratture con il nostro progetto collettivo e sta funzionando”.
Cosa le fa credere che funzioni davvero?
“Vediamo in tutta Italia una straordinaria partecipazione. Da una parte il pezzo alla base del partito che vuole contare di più e che bisogna consultare sulle scelte fondamentali. Hanno voglia di rinnovamento a sinistra e di riscoprire i valori su cui basare una sinistra moderna”.
Però c’è anche tanta rabbia a sinistra…
“Ma c’è gente delusa e arrabbiata che sta tornando e si riscrive al partito: giovani che si avvicinano per la prima volta e anche anziani mai iscritti ma che sentono un richiamo valoriale. Perché noi in fondo ci stiamo battendo per una società più giusta, per la scuola pubblica, per la sanità pubblica, per il lavoro di qualità, cose che faceva una sinistra tempo fa. C’è paura dell’incapacità di vincere le elezioni, che ha fatto sì che si insediasse il governo più a destra della storia repubblicana. La posta in gioco è alta e senza Pd non c’è alternativa a queste destre”.
Lei ci ha parlato delle tessere belle, di giovani e chi ritorna. Ma ci sono in questi giorni molte tessere brutte di cui si parla. Brogli, falsi, il peggio della politica. Cosa ne pensa di quel Pd?
“Un Pd inaccettabile. Esattamente il tipo di partito che non vogliamo più. Da un lato abbiamo segnalato le situazioni fuori norma e abbiamo fiducia nel lavoro delle commissioni. Ma sia chiaro a tutti che io non voglio più vedere nel Pd i soliti giochi di pacchetti di tessere che inquinano la partecipazione sana e spontanea degli iscritti. Ho chiarito da subito: servo a spazzare via queste logiche e c’è qualcosa che viene prima del consenso: il buonsenso. L’ho detto dal primo giorno: venite liberi o non venite affatto”.
Ma non è che queste cose le hanno dette un po’ tutti e tutto è tornato come prima?
“Non pensate che con me funzioni con il metodo di prima, non mi siedo a trattare e promettere posti. Io sono la candidata giusta e vorei vedere lo stesso impegno da tutti i candidati per contrastare queste dinamiche”.
Lei parla della destra più destra che sia andata al governo. E le accuse a Meloni fin dall’inizio sono sempre le stesse: fascisti, manganelli, busti del duce. Come Fedez con Bignami a Sanremo. Ma non è che guardate sempre dalla stessa parte e intanto milioni di altri hanno votato Meloni?
“Io ho un’impressione diversa. Mi sembra che sia proprio lei, Meloni, che si sta rivolgendo allo zoccolo più identitario. Il primo discorso l’ha fatto come se fosse ancora la leader dell’opposizione e l’incapacità di calarsi nel ruolo istituzionale si è vista anche in questi giorni nelle mancate dimissioni di Donzelli e Delmastro. Ha perso l’occasione per intervenire e fare gli interessi del paese e non del suo partito. In altri paesi europei si dimettono per molto meno”.
Vero, ma non è che Macron non attacca Le Pen o Biden non contrasta Trump. Non è che ci siamo disabituati alla politica al governo?
“Quello che è accaduto in questi giorni ha travalicato il confine del confronto. Non mi stupisco degli attacchi. Un conto è attacco politico e un altro è l’uso delle informazioni per sostenere una connivenza tra il principale partito d’opposizione e le mafie”.
Perché chiedete a Meloni le dimissioni?
“Perché Delmastro è un membro del governo, e questo compete al premier. E quindi ci aspettavamo una reazione immediata e non certo una lettera a un quotidiano (Corriere, ndr) in cui dice falsità. Quelli erano documenti coperti da segreto e non pubblici”.
Ma il 13 gennaio su alcuni quotidiani la notizia era uscita. Quindi segreti fino a un certo punto…
“Se c’è stata qualche fuga prima non era certo circostanziata. È un esponente del suo partito che ha usato quei dati per accusare di infamie il Pd. E lei è anche il capo del suo partito”.
Dalla fondazione del Pd il leader è candidato premier. Perché una volta eletto il premier si dovrebbe dimettere dagli altri incarichi?
“Uno dei motivi per cui mi sono candidata è perché il Pd è l’unico partito non personale. Un uomo solo al comando o una donna sola al comando non fanno il bene del nostro Paese, va preservata la leadership plurale”.
Però una donna al comando è una gigantesca novità per l’Italia. E pure per la sinistra, anche se qualcuno nel Pd ha detto che Meloni non è una “donna”. Cosa significa?
“Noi non ce ne facciamo niente di una Presidente donna che non si batte per le altre donne. Se tu nella prima manovra colpisci le pensioni delle donne restringendo Opzione Donna e discriminando a seconda il numero dei figli capisci qual è la differenza tra leadership femminile e quella femminista. L’Italia ha bisogno di una leadership femminista e non solo femminile. Invece Meloni è seduta lì e il suo partito e pensa che sulle donne debba ricadere il lavoro domestico”.
Mettiamo che la destra stia facendo la destra. Ma non è che la sinistra negli ultimi anni ha trasformato battaglie universali come i diritti delle donne e Lgbt da usare in campagna elettorale e basta?
“Le bandierine ideologiche le hanno puntate loro. La finanziaria è un manifesto della destra dalla prima all’ultima riga. Dal tetto al contante che aiuta gli evasori, fino al reddito di cittadinanza cancellato senza alternativa che abbandona i più poveri. O il decreto di grande urgenza sui rave, o quello ong che ha il solo scopo di rendere più difficili i salvataggi, senza il coraggio di dirlo. Io ho visto questa maggioranza piantare più bandierine, le opposizioni le vedo insieme a fare le battaglie”.
Il governo nega che sia così…
“Non solo è così ma c’è di più, c’è tutto quello che non fa. Non si pone il problema del lavoro povero o della conversione ecologica, della trasformazione digitale. È un governo che parla sempre di sicurezza ma mai di sicurezza sul lavoro dove le morti sono quotidiane e non c’è nessun investimento serio sulla sicurezza”.
Morivano anche prima…
“Ma noi avevamo questa come priorità: perché i diritti sociali vanno insieme ai diritti civili. Le persone discriminate, la discriminazione la vivono come lavoratori e come persone che pagano le tasse, ma che sono discriminate nell’accesso ai servizi. Diseguaglianze, lavoro e clima sono i buchi dell’azione di governo e del discorso pubblico di meloni. Precarietà è una parola che non dicono neanche per sbaglio”.
Invece la parola pubblico era sparita dal dizionario del Pd. Privatizzazioni, concorrenza l’hanno sostituita. Guardi in che Italia viviamo…
“È vero, la terza via è fallita e ha portato all’impoverimento delle fasce più larghe della società. Non capirlo significa non essere stati in grado di leggere cosa è accaduto negli ultimi 15 anni nel mondo. Serve un modello di sviluppo che guardi alla scuola pubblica, alla sanità pubblica, che combatta il lavoro precario. Ma anche a sostegno della transizione digitale ed economica. Serve uno sforzo di visione profonda che non ho visto in questi anni a sinistra e non vedo in questo governo. Con il Pnrr abbiamo una grande occasione ma il governo non ha capito dove andare”.
Ma già dai tempi di Draghi si doveva capire…
“Lo dicevo anche al governo Draghi e al governo Conte precedente, se non c’è iniezione di risorse la pubblica amministrazione non sarà in grado di reggere e utilizzare gli investimenti nel modo trasformativo che ci serve”.
A Sanremo Benigni ci ha spiegato la Costituzione, ma c’è un un’altra parola: la guerra. A sinistra sembra sparita o ha un altro senso?
“Non può esserci una sinistra che non faccia ogni sforzo per la pace, è un valore intrinseco che non deve perdere e dobbiamo insistere ogni giorno. Io sono attivista europea convinta e soffro dell’assenza di una voce univoca dell’Ue. Da un lato è riuscita a trovare compattezza sul tema delle sanzioni ma non a rendersi protagonista di una forte iniziativa di pace. I governi dovrebbero superare le proprie gelosie e condividere competenze su difesa e spesa militare per una difesa europea. Ho sostenuto la resistenza ucraina, ma non è con le armi che si mette fine alla guerra se manca lo sforzo di pace e io voglio stimolarla. E poi, lo ribadisco, siamo contro l’aumento della spesa militare che stanno facendo i Paesi europei”.
Se lei diventerà Segretario e dovrà formare un’alleanza, prima telefona a Renzi o a Conte? O a nessuno dei due?
“L’unico modo per mettere insieme il fronte più largo è farle non sulle simpatie tra di noi, ma mettere avanti i temi e fare una proposta segnata dalla visione che prevarrà in queste primarie. Sarà il congresso a stabilire la visione e l’invito sarà aperto a tutte le forze alternative alle destre per ragionare insieme”.
Ma secondo lei il terzo polo è ancora considerato alternativo alle destre?
“Sono all’opposizione, me lo auguro. Spero non vada con la destra. Dopo il 25 settembre sarebbe impensabile non collaborare”.
Un suo difetto e un pregio di Giorgia Meloni.
“Lei simpatica (poi ci pensa, ndr) e io sono testona”.
La lascio alla sua campagna. Chi vincerà le primarie?
“Noi. Ne sono convinta, ho visto una partecipazione fuori dall’ordinario. A Bruxelles abbiamo vinto il congresso in uno dei circoli più numerosi di tutta la comunità democratica all’estero. C’è l’idea di un partito che ha voglia di circondarsi di persone più competenti anche nella speranza che arrivino più bravi e che mi dicano ‘è il nostro turno’”.

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