Cultura & Spettacolo

Emanuele Macaluso coscienza critica del PCI

di Redazione -


Una biografia/intervista di Concetto Vecchio

All’età di 96 anni, ottanta dei quali trascorsi impegnati in lotte prima per la libertà (a 16 anni è entrato nella Resistenza aderendo al Partito Comunista Italiano clandestino) e poi in quelle per i diritti civili e sindacali come organizzatore, in Sicilia, dell’occupazione delle terre e delle lotte contadine per ottenere l’applicazione nel 1945 del decreto del Ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo (confermato nel 1946 dal Sottosegretario Antonio Segni) sulla riforma agraria, Emanuele Macaluso il 19 gennaio 2021 ha cessato per sempre la sua militanza in favore dei più deboli, degli ultimi con al centro dei suoi interessi la questione sociale. Il giornalista Concetto Vecchio, quirinalista de “la Repubblica”, nel suo ultimo libro “L’ultimo compagno” (Chiarelettere editore, pag. 230, Euro 16,00, ritratto in copertina di Riccardo Mannelli) ripercorre la storia d’Italia del Novecento attraverso la vita di Emanuele Macaluso (1924-2021), “l’unico sopravvissuto di un mondo senza più testimoni, l’ultimo guardiano di un’epopea tramontata per sempre, il decano di una stagione di lotte che non tornerà”. Il libro di Concetto Vecchio è una biografia, o meglio, un “ritratto a figura intera, una biografia non solo politica, ma anche umana e sentimentale, dove pubblico e privato si intrecciano”, una lunga intervista nella quale c’è “più Emanuele e meno comunismo”, personaggio che “con i suoi eroismi e col suo spirito di contraddizione aveva attraversato il Novecento come dentro un libro d’avventure”. Perché Macaluso, nonostante l’importanza dei ruoli assunti all’interno del partito non ebbe mai, nella sua lunga vita politica, né incarichi di governo né di sottogoverno ed è diventato comunista, come ricorda lui stesso, “non per ideologia, o rivalsa di classe, ma per la questione sociale, per la voglia di giustizia”, perché “bisognava ribaltare il mondo”. Nella Sicilia poverissima della sua infanzia, quella dell’emigrazione dei siciliani verso l’America e l’arruolamento per “fame” e non per adesione alle idee fasciste e alle guerre di Abissinia e di Spagna, Emanuele Macaluso, fin da giovanissimo, ha espresso la sua passione per l’attivismo politico per l’affermazione e la soluzione di temi tuttora centrali e attuali nella discussione politica. Adolescente ha costituito nella sua scuola, “con altri 5 o 6 amici, un nucleo di ispirazione socialista in onore di Giacomo Matteotti, ucciso dai fascisti”. Nel 1942, a 16 anni, entra nella Resistenza e collabora alla pubblicazione dell’Unità clandestina. A 20 anni inizia la sua “formazione” politica sotto la guida di Girolamo Li Causi “l’avversario più intransigente e fiero che il potere mafioso abbia conosciuto”, e assume, resistendo alle minacce mafiose, l’incarico di Segretario generale della Camera del Lavoro di Caltanisetta. Nel 1946, dopo il referendum Repubblica/Monarchia, con Girolamo Calandrone partecipa alla costituzione delle prime cellule femminili del PCI. Nel 1949, con Pio La Torre, organizza i primi congressi dei braccianti in Sicilia e la costituzione delle “leghe bracciantili” iniziando così quell’attività di sindacalista che ha costituito per lui una sorta di università: “la mia nascita politica, afferma, risale a quelle lotte”. Nel 1947 diviene segretario regionale della CGIL e nel 1951 viene eletto deputato all’Assemblea Regionale Siciliana in quota PCI del quale nel 1956 diviene segretario regionale. Nello stesso anno Palmito Togliatti lo chiama nel comitato centrale del partito. Militante nell’area “riformista” di Giorgio Napolitano, nel 1960 entra nella Direzione del partito e poi nella Segreteria politica con Togliatti, Luigi Longo e Enrico Berlinguer. Nel 1963 è eletto per la prima volta deputato nazionale alla Camera dei Deputati dove sarà confermato fino al 1976 quando viene eletto nel Senato della Repubblica. La sua esperienza parlamentare si conclude nel 1992. Anche da giornalista (è stato direttore de “l’Unità” dal 1982 al 1986, fondatore e direttore della rivista “Le nuove ragioni del socialismo”, editorialista de “La Stampa”, de “Il Mattino” e de “Il Riformista” del quale ha assunto la direzione dal 2011 al 2012) e da scrittore Emanuele Macaluso ha svolto una intensa attività a favore delle battaglie sindacali, della lotta alla mafia e al terrorismo e per l’affermazione della forza laica della sinistra venisse espressa dai valori del socialismo europeo che, affermava in senso critico, mancavano nel profilo identitario del suo partito. Merito del libro di Concetto Vecchio è quello di portare, attraverso la “storia” di Macaluso, le sue vicende umane e la sua testimonianza politica (la sua vita è stata scandita anche da grandi amori e da dolori terribili), l’attenzione su temi non ancora sufficientemente indagati come i condizionamenti mafiosi nella Sicilia di inizio secolo, le lotte operaie, la strage di Portella della Ginestra, e di aver realizzato un “dietro le quinte” sugli accadimenti della storia d’Italia dagli anni ’40 ad oggi. Alla domanda rivolta a sé stesso “Perché ho deciso di scrivere questo libro?” Concetto Vecchio risponde “Forse perché avverto che era un comunista diverso: un comunista che disubbidiva. Per tutta la vita Macaluso ha infranto le leggi morali del partito, pur mantenendosi fedele al suo magistero, alla sua liturgia, allo stesso tempo smarcandosene. La verità è che ha disubbidito anche a sé stesso, pagando con ripetuti dolori la sua inquietudine- E’ questo suo essere fuori dai canoni che mi attrae”. Vittorio Esposito


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