Attualità

Energia condivisa? Si può ma il governo è in ritardo

di Redazione -


Energia: una parola fino a pochi anni fa per addetti ai lavori. Oggi, con il gas che oscilla sui 300 euro alla Borsa di Amsterdam e le bollette della luce alle stelle, questa parola è la regina delle discussioni nelle famiglie e nei tg. E in campagna elettorale, dove ciascuno snocciola soluzioni e proposte. Come se non fossero stati quasi tutti finora al governo, quello nel quale c’è in quota 5Stelle ancora il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, nelle ultime settimane innamorato cotto della cantilena ammaliante sui carichi energetici acquisiti nei mesi scorsi grazie ad Eni e sullo stoccaggio sufficiente alla nostra serenità. Oltre che dell’idea trasmessa dall’Europa, quella di un risparmio energetico frutto della riduzione di uno o due gradi nelle case e delle insegne spente nelle strade. Tutti fermi, finora. In attesa forse del via libera tra 24 o 48 ore per un ennesimo decreto Ristori che provi ad avviare a cicatrizzazione le piaghe del sistema Paese ormai all’impasse.

Ma c’è un tema – quello delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) destinate a realizzare un sistema di autoconsumo grazie al solare o all’eolico -, ovviamente assente dalla campagna elettorale per le Politiche del 25 settembre prossimo. Un argomento che finora la politica, di governo e non, ha colpevolmente trascurato. Se per tempo nell’ultimo anno si fossero concessi e accelerati, con adeguate e intelligenti policy, spazi, opportunità e corridoi di semplificazione a questa iniziativa, favorendone il reale e pieno ingresso nella manovra del Pnrr, le Cer (che possono anche essere termiche) avrebbero cominciato a riempire la geografia dello Stivale, ora desolatamente segnata da pochi punti ove si stanno affermando, crescono o provano a farsi strada nelle comunità.

I numeri parlano chiaro. Li elenca da qualche tempo con i suoi rapporti Legambiente. Le Cer sono 100, tra realtà effettivamente operative (35), in progetto (41) o che muovono i primi passi verso la costituzione (24). Tra queste, 59 le nuove censite tra giugno 2021 e maggio 2022 vedono il coinvolgimento di centinaia di famiglie, decine di Comuni e imprese, di cui 39 sono Comunità Energetiche Rinnovabili e 20 Configurazioni di Autoconsumo Collettivo. La loro data di nascita è importante, perché negli ultimi anni è veramente stato sprecato molto tempo, e segnala la velocità di aggregazione dimostrata rapidamente dalle realtà più sensibili e più convinte. Quelle che hanno dimostrato più capacità di penetrazione reale nelle comunità. Perché le Comunità – la cosa va detta e spiegata una volta per tutte – non sono esperienze utopiche di italiani fantasiosi. Sono prototipi di strutture riunite dal fattore della coesione. E da una visione che guarda contemporaneamente, come deve essere ogni cosa che attenga l’energia, al risparmio e ai bisogni veri di un territorio, senza fughe in avanti e con i piedi sempre ben piantati a terra.

Da poco lo ha raccontato Rai News, con una puntata della rubrica “Da Nord a Sud” dove, con toni quasi paragonabili ad un filmato Luce improvvisamente divenuto 4.0, si è provato a fare la prima ed esemplificativa conta di chi ce l’ha fatta sul serio, a risparmiare con le Cer.
Sul tema l’esperienza di Gubbio è assai indicativa. Coordinata da Sara Capuzzo, l’iniziativa è approdata ad un impianto eolico che produce energia elettrica e che, per ogni megawattora, ne consente un’uguale quantità per l’erogazione agli abitanti del posto che hanno aderito alla rete di autoconsumo. Tutto a prezzo di costo, evitando di ricevere con affanno le bollette rincarate ogni mese o per ciascun bimestre di conteggio. I fondi necessari? Raccolti rapidamente al varo dell’idea attraverso un crowdfounding e integrati con un finanziamento di Banca Etica. Da allora, tutti liberi dal cappio del rincaro delle fonti fossili. Sindrome Nimby? Neanche l’ombra. Anzi, l’esatto contrario. A vedere la pala in funzione, i residenti hanno chiesto alla cooperativa “ènostra” che la gestisce di realizzarne subito un’altra.

Scendendo dal Centro all’estremo Sud, Messina ha individuato nelle rinnovabili la leva per provare a cancellare la vergogna di un territorio ancora segnato dal terremoto del 1908 e dall’incuria degli ultimi 40 anni. Per ripartire, in nome della coesione, con residenze improntate all’efficientamento energetico spinto e al solare utile per assicurare energia elettrica. La Cer come arma per superare il degrado. E per risparmiare sull’energia, of course. Aprendo già alla speranza che le future norme possano consentire di passare da una Cer allacciata ad una cabina secondaria a quella finalmente più ampia, fino a 30mila persone, che si collega ad una cabina primaria dell’energia elettrica.
Ma cosa manca, per diffondere le Cer a macchia d’olio in Italia? Qualcuno che negli ultimi tempi si sia dato una mossa, per dirla in breve. Dopo la Direttiva europea Red II del 2019 che puntava al 23% di rinnovabili entro il 2030, l’Italia ha recepito l’ipotesi subito rinchiudendola, come nella migliore tradizione della burocrazia, in un recinto, imponendo limiti alla potenza degli impianti e alla distanza tra gli aderenti. Alla fine dell’anno scorso ha approvato tutta la Direttiva, nascondendo la questione in un cassetto. Senza approvare i decreti attuativi e regolare gli incentivi utili a dar impulso ad esse. Dopo di ciò? “Ministero all’opera”, senza partorire finora nulla. Con l’Arera al suo fianco, che conclude un recentissimo documento di orientamento sulle Cer con un emblematico “Perchè?”. Il quale fotografa l’impasse di un quadro normativo che non riesce a superare l’assetto storico dei sistemi energetici in Italia.

Uguale impasse è raccontato a L’Identità da Riccardo Battisti di Ambiente Italia a proposito delle Cer termiche, che sono orientate all’autoriscaldamento delle realtà che le promuovono, delle quali presto illustreremo le storie: “Raggiungere subito un assetto normativo è fondamentale per le Cer termiche. Vanno superate tutte le difficoltà e incentivate le opportunità per iniziative che hanno grandissime potenzialità, specie nelle aree interne e in quelle finora definite degradate”. Anche qui, nessuna fantasia: Germania e Danimarca lo fanno da anni.


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