Economia

ENERGIA, I TROPPI NO E LA LENTA BUROCRAZIA. L’ITALIA RESTA A SECCO

di Cristiana Flaminio -


Un altro, doloroso, paradosso italiano. Siamo il Paese che, potenzialmente, potrebbe essere la seconda potenza europea in fatto di rinnovabili e invece ci ritroviamo, ancora, a dipendere dalle forniture straniere per soddisfare il fabbisogno energetico nazionale. Una ricerca Eurispes svela i problemi, le contraddizioni e gli ostacoli all’autonomia energetica italiana. In primo luogo, l’istituto ha riferito che la disponibilità energetica lorda è aumentata, e nel 2021 si è attestata sulla percentuale del 74,9% a fronte del 73,5 dell’anno precedente. A scavare all’interno del dato, emerge che il 73% della disponibilità energetica nazionale è data dai combustibili fossili, in particolare dal gas (40,9%) e dal petrolio (32,9%). Tuttavia, qualche risultato positivo c’è stato. Nel 2020, infatti, il 20,4% dell’energia consumata in Italia era stata prodotta da fonti rinnovabili. Un risultato che è andato ben oltre l’obiettivo fissato nel 17%. L’energia elettrica prodotta nel nostro Paese grazie alle rinnovabili è stata pari al 38%, un numero superiore nettamente alla soglia minima fissata nel 26%.
Ma perché la produzione rinnovabile italiana non decolla? No, non è colpa del malcostume dei cittadini a cui, troppo spesso, si appioppano accuse che non meritano. Il problema è italianissimo e sta dentro i gangli della burocrazia lenta, nella cultura Nimby che sui territori diventa quella del “no” a tutto, nei lacci, politici e sociali, che finiscono per tenere legate le produzioni e impediscono all’Italia di esprimere il suo immenso potenziale in fatto di energia auto-prodotta con fonti green. “Mentre in Italia si continua discutere sugli impatti che il colore della nave rigassificatrice potrebbe avere sul paesaggio del porto di Piombino o sugli allevamenti di cozze ivi presenti – asserisce Eurispes -, in Germania, dal marzo di quest’anno, è stata avviata la realizzazione di sei impianti di rigassificazione (di cui due già attivi)”. Tutti questi “no”, hanno un prezzo che rischia di diventare sociale e di acuire il divario già esistente tra il Nord e il Sud del Paese.
La crisi energetica, secondo Eurispes, non s’è abbattuta in maniera omogenea sui territori. Ha, anzi, acuito la povertà energetica. Una condizione che ha afflitto, già nel 2021, una quota impressionante di cittadini meridionali (stimati in una forchetta statistica tra il 10 e il 18%) che ha avuto difficoltà ad acquistare servizi energetici. La percentuale della povertà del Mezzogiorno è risultata superiore del doppio, se non del triplo in certi casi, di quella che si è registrata nel resto del Paese che, mediamente, oscillava tra dati più o meno omogenei, stimati nel 5% del Veneto fino al 6,3% del Piemonte.
Ma da una crisi, recita l’adagio, può nascere un’opportunità. E infatti Eurispes nota che, con la deflagrazione del conflitto in Ucraina che ha causato lo choc energetico, è aumentato lo sviluppo di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili. Che, specialmente al Sud, potrebbero dare una grossa mano in termini di occupazione e ridimensionamento dei prezzi al consumatore. Il busillis di questa strategia, però, è legato alle infrastrutture per il trasporto dell’energia elettrica. Allo stato attuale, l’Italia è in prima fila in progetti di respiro internazionale ed europeo. Che collegheranno il Paese al suo interno, prima ancora di unirlo all’Africa del Nord e al resto d’Europa.
La sfida della produzione nazionale di energia è di quelle epocali. L’Italia non può permettersi più il lusso di dipendere dall’estero. Una nuova strategia non è più rimandabile.

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