Ambiente

Nucleare? Sì grazie: il paradosso italiano

di Giovanni Vasso -


Con una fava (atomica), il ministro Gilberto Pichetto Fratin punta a prendere due piccioni: il rilancio dello stabilimento di Mirafiori, a Torino, e il gran ritorno dell’Italia nel discorso, sempre più centrale e decisivo, dell’energia nucleare. Il titolare del Mase, proprio dalla capitale sabauda dove, ha aperto, nemmeno troppo timidamente, a un’ipotesi rivoluzionaria: “Se Newcleo va avanti, potrebbe anche starci”. Si riferiva, Pichetto Fratin, a portare a Mirafiori la produzione degli small reactors nucleari, il progetto cardine della start-up fondata da Stefano Buono, scienziato già collaboratore del fisico premio Nobel Carlo Rubbia, che è riuscita a raccogliere, finora, qualcosa come 400 milioni di investimenti. Secondo Pichetto: “Le stime sono di due miliardi circa l’uno per la produzione di piccoli nucleari da 300-400 megawatt e le ricadute occupazionali e di qualificazione professionale significano davvero un passo verso il futuro”. Potenzialmente, un business capace di sostituire, per giro d’affari e per mole di lavoro tra ricerca e assemblaggio, l’automotive che, da Torino (e, secondo la Fiom e non solo, dall’Italia) si sta lentamente ritirando. “Siamo nella fase di sperimentazione e ricerca non ancora di decisione”, assicura Pichetto tentando, così, di frenare le prevedibilissime polemiche che le sue parole avrebbero sortito.

Già perché il tema dell’energia nucleare è uno di quelli al limite del tabù, in Italia. Un Paese che, con la fissazione del turismo anche dove, oggettivamente, non c’è, ha trasformato ogni campanile in una frontiera Nimby. Il gioco dei partiti, locale e nazionale, ha le sue ragioni, in fondo. Ma questa vicenda è solo una conseguenza di un’altra, e ben più importante, questione politica. L’Unione europea, riportando l’atomo nell’alveo delle energie pulite su cui investire per dotare il Vecchio Continente di una politica energetica capace di sottrarlo alle fluttuazioni della geopolitica, ha di fatto riaperto il dibattito. Anche in Italia, dove, dopo l’ormai antico referendum degli anni ’80 che vietò il nucleare sull’onda dell’incidente di Chernobyl, si assiste al paradosso per cui le grandi aziende investono nell’atomo, certo, ma non possono farlo nel nostro Paese. Da Enel ad Ansaldo, l’Italia partecipa a numerosi e importanti progetti in giro per il mondo. Nei mesi scorsi, per la precisione a ottobre’23, la stessa Ansaldo ha siglato un’intesa con Korea Hydro & Nuclear Power e alla canadese Candu Energy per la ristrutturazione del reattore nucleare della centrale di Cernivoda, in Romania. Il valore dell’operazione parla da sé: 1,87 miliardi. Inoltre, rispetto all’87 (e rispetto anche al 2011 quando ci fu un’altra consultazione popolare in materia su cui pesò, e non poco, il disastro giapponese a Fukushima), è cambiato tutto. A cominciare dalla tecnologia di produzione dell’energia e, soprattutto, alla gestione dei rifiuti e delle scorie.

Ma l’Europa è divisa, come al solito, anche sul nucleare. La Germania guida lo schieramento delle Rinnovabili che ingloba, in buona sostanza, tutti i Paesi dell’asse “frugale” più gli (ex) Piigs Spagna (che comunque è il secondo produttore Ue di energia nucleare), Grecia, Portogallo e Irlanda. Dall’altro lato della barricata ci sono, invece, ci sono gli Stati membri che, capitanati dalla Francia, prima potenza europea in materia di energia nucleare (rappresenta infatti, il 48,6% di tutta la produzione continentale) puntano a rafforzare la cultura del nucleare. Tra di loro c’è una foltissima rappresentanza dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia, dalla Bulgaria all’Ungheria, passando per la Romania, la Polonia e la Slovacchia. Anche la Slovenia fa parte dell’intesa pro-atomo. E, come i Paesi bassi, Lubiana tiene un piede nelle due scarpe della politica energetica. La porosità tra gli schieramenti, dunque, è più ampia di quello che lo scontro, in materia di energia, lascerebbe intendere tra le due potenze egemoni del continente, Parigi e Berlino. L’Italia, per ora, resta tra color che son sospesi. Per ora, non vuol dire per sempre.


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