Economia

Energia, quando e a che costi possiamo rendere la Ue indipendente da Mosca?

“Le sanzioni europee avranno naturalmente implicazioni e un costo per l'economia dell'UE”.

di Alberto Filippi -


Così Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione UE, lo scorso due marzo ad Ankara. Poi, arriva la notizia del veto ungherese all’embargo contro la Russia contenuto nel sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea. Tutti vogliono punire Putin, ma appena si parla di sanzioni sull’energia, le posizioni cambiano. Un report dell’Istituto per la Ricerca Economica (WIFO) del Ministero dell’Economia austriaco del 2015 stimava che le sole sanzioni per l’annessione della Crimea, molto più blande, avevano portato a un crollo degli scambi con la Russia per un valore di circa 17,6 miliardi di euro e alla perdita di quasi 400 000 posti di lavoro negli Stati membri. Il decoupling energetico è possibile, e quando, senza disastrare l’economia europea? Volkswagen, ad esempio, ha appena chiuso le fabbriche di Dresda e Zwickau a causa della guerra. La Germania, nonostante la sua postura euroatlantica, è fra le voci più critiche. Martin Wansleben, amministratore delegato dell’Associazione delle Camere di Commercio e Industria tedesche, ha recentemente manifestato la sua preoccupazione al Deutschlandfunk, rilevando che il gas non serve tanto per il riscaldamento, ma per il calore di processo, cioè siderurgia, farmacia, chimica. Settori dove l’economia italiana e tedesca sono integrate, svolgendo il ruolo di locomotive per l’intera Unione. Se l’Italia dovesse riuscire positivamente a sostituire il gas algerino con quello russo, ma non la Germania, la supply chain si fermerebbe lo stesso. La verità è che, mentre la Germania cerca di bilanciare la sua fedeltà atlantica, cercando una soluzione che non distrugga l’economia, gli interessi del settore manifatturiero divergono dall’economia finanziarizzata e più indipendente dalla Russia di Usa e Regno Unito. L’Italia è invece spaccata fra una componente draghiana, più atlantista degli USA, e altre forze, a cui danno voce, con il loro pacifismo, anche il presidente della Repubblica Mattarella e papa Francesco. I Paesi dell’Unione dipendono dalla Russia per il 40% delle loro forniture di gas e non possono ridurre tale dipendenza rapidamente senza ricorrere a misure come la distruzione della domanda, inclusa la chiusura di segmenti industriali non critici o il razionamento del riscaldamento e il blocco di altre attività legate al gas. La dipendenza tocca addirittura il 79,9% per la Bulgaria, l’86 per la Cechia, l’85% per l’Ungheria.
L’Europa importa circa 400 miliardi di metri cubi (bcm) di gas ogni anno, con la Russia che fornisce circa 175-200 bcm. L’Europa può trovare altri 175-200 bcm in forniture alternative di gas? L’Italia, in particolare, riceve 29 bcm dalla Russia. L’accordo recentemente siglato da Draghi con l’Algeria punta a trasportare 9 bcm di gas in più. E il resto? Il ministro Cingolani ha dichiarato che la quota mancante potrebbe provenire da Repubblica Democratica del Congo, Angola, Azerbaigian, Mozambico e Qatar, nonché dal gas naturale liquefatto (GNL) degli USA. Ma i tempi quali sono? Secondo il ministro, i tre attuali terminali GNL in Italia potrebbero essere utilizzati per fornire da quattro a cinque bcm di gas in più, mentre due nuove unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione potrebbero portare circa 10 bcm a medio termine. Ma se la dipendenza dalla Russia poneva un problema geopolitico, andrebbe meglio con i nuovi partner? Il Qatar, Paese chiave della Fratellanza musulmana, è stato spesso accusato di finanziare lo jihadismo. L’algerina Sontrach lavora in sinergia con Gazprom. L’Azerbaijan è membro della Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, voluta da Mosca. Le uniche credenziali liberaldemocratiche sarebbero quelle del gas americano. Forse, un po’ poco. E non nei tempi immaginati da Ursula Von der Leyen.


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