Non sparate su Iacchetti!
Il comico non è il colpevole: è il sintomo di un sistema che preferisce l’effetto alla sostanza.
Italia, 2025. In un panorama mediatico che fatica a distinguere tra contenuto e spettacolo, ci ritroviamo a riflettere su un fenomeno che dice molto più di quanto sembri: l’ascesa di Enzo Iacchetti nei salotti televisivi del dibattito politico. Non è lui il problema, ma ciò che rappresenta. Il suo ritorno non è una scelta individuale, è una risposta del sistema a una crisi di senso.
La televisione generalista, da tempo, ha smesso di cercare voci nuove. Preferisce volti familiari, capaci di generare attenzione senza necessariamente offrire profondità. In questo contesto, il comico che si reinventa opinionista non è un’anomalia: è una scorciatoia. Il pensiero critico viene sostituito da slogan, la complessità da semplificazioni teatrali. Non si cerca chi ha studiato, ma chi sa bucare lo schermo.
La benzina sul fuoco
Il sistema non invita chi può chiarire, ma chi può infiamare. Il dibattito si trasforma in arena, dove la ragione è spesso sacrificata sull’altare della visibilità. Il pubblico non è chiamato a comprendere, ma a reagire. E chi ha esperienza di palcoscenico ha un vantaggio evidente: sa come si cattura l’attenzione, come si polarizza, come si trasforma ogni tema in occasione per un applauso o un’indignazione.
Non è Iacchetti a cercare la ribalta: è la ribalta che cerca lui. Perché il sistema ha fame di riconoscibilità, non di contenuti. Ha bisogno di volti che rassicurano, anche quando il messaggio è confuso. E noi, spettatori, ci ritroviamo a confondere la familiarità con l’autorevolezza, il tono deciso con la competenza.
Nessuna spiegazione
Abbiamo vissuto anni senza di lui nel dibattito politico, e non ne abbiamo sentito la mancanza. Ma ora che il sistema lo ripropone, ci accorgiamo che non è una questione di merito, ma di necessità mediatica. Perché investire su pensieri scomodi, su voci nuove, su analisi rigorose è faticoso. Meglio chi ha già fatto ridere, chi sa stare in scena, chi non mette in discussione le regole del gioco.
La vera domanda non è come abbiamo fatto senza Iacchetti, ma perché ora abbiamo bisogno di lui. E la risposta è inquietante: perché abbiamo smesso di distinguere tra chi ha qualcosa da dire e chi sa semplicemente come dirlo. Il sistema non premia la verità, ma l’efficacia comunicativa. E finché confonderemo il rumore con il pensiero, continueremo a chiamare chi sa intrattenere, anche quando il compito sarebbe capire.
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