Erdogan, il sultano che l’Occidente finge di odiare ma di cui ha bisogno
Il leader turco Erdogan ha saputo sfruttare alla grande il suo ruolo per far accettare a tutti la pace di Trump a Gaza.
Alla fine, ancora una volta, il sultano Erdogan ha vinto e l’Occidente deve essergli grato. Mentre in Europa si continua a predicare sui “valori”, sui diritti civili, sulla difesa del modello delle liberaldemocrazie occidentali e sulla libertà di stampa, nel concreto è il presidente turco Recep Tayyip Erdogan – lo stesso leader accusato per anni di autoritarismo, islamismo, repressione dei diritti civili e degli oppositori politici – a dettare l’agenda del Medio Oriente. A quanto pare è stato lui, non Bruxelles né l’Onu, a convincere Hamas ad accettare il cosiddetto “Gaza deal” di Donald Trump. È stato lui, non i paladini della pace occidentale, a chiudere il cerchio e riportare gli ostaggi a casa. La realtà è semplice: senza la Turchia non si muove foglia, e Washington lo sa benissimo.
Dalla scomunica all’abbraccio, il sultano serve a Trump e all’Occidente
Fino a ieri, Ankara era il “problema”: troppo islamista, troppo vicina a Mosca, troppo indipendente da Bruxelles e da Washington. Poi, quando gli americani hanno avuto bisogno di un mediatore credibile con Hamas, chi hanno chiamato? Proprio Erdogan. Trump, che almeno ha il merito di dire (spesso rozzamente, è vero) quello che pensa, lo ha definito “uno degli uomini più potenti del mondo”. Parole che nessun leader europeo si sarebbe mai azzardato a pronunciare — ma che tutti, sotto sotto, sanno essere vere.
Il ritorno del sultano
Erdogan, che non dimentica né perdona, ha colto la palla al balzo. Ha firmato la tregua, ha mandato i suoi uomini a trattare e adesso pretende il conto: il rientro della Turchia (potente alleato Nato, non dimentichiamolo) nel programma degli F-35, l’alleggerimento delle sanzioni americane, e soprattutto il riconoscimento del suo ruolo di potenza regionale sunnita. Il sultano ha riportato Ankara dove voleva: al centro della mappa.
L’ipocrisia di chi lo teme ma lo usa
In pubblico, i governi occidentali continuano a trattarlo con la sufficienza riservata ai “dittatori tollerati”. In privato, lo chiamano per risolvere i problemi che loro non sanno più gestire. Un paradosso che riassume perfettamente lo stato attuale della diplomazia occidentale: predicare la morale e praticare il compromesso. Anche Israele, che inizialmente aveva posto il veto alla presenza turca nei negoziati, ha dovuto cedere. Egitto, Arabia Saudita e gli Emirati guardano con fastidio al ritorno del “neo-ottomano”, ma non possono farne a meno. Il Medio Oriente diffida di Erdogan, ma oggi Erdogan è il Medio Oriente.
La pace? Un effetto collaterale
Sì,è vero, il “Gaza deal” non risolve quasi nulla. Non c’è una vera prospettiva di Stato palestinese, non c’è un piano politico, non c’è un equilibrio stabile. Non v’è alcuna garanzia che Israele non ricominci una guerra. Ma per Erdogan, che ha duramente condannato il genocidio dei palestinesi da parte del governo Netanyahu, la pace nella Striscia è solo un mezzo, non un fine. Il suo obiettivo è consolidare potere, prestigio e influenza.
Intanto in Turchia l’inflazione corre, la lira è a picco, e la stampa libera è quasi un ricordo. Sullo scacchiere internazionale, però, Erdogan può presentarsi come l’uomo che parla con tutti: con Putin, con Trump, con Hamas e con la Nato. È il suo modo di rendersi indispensabile e in questa fase è il migliore alleato – lui, non Netanyahu – di Trump in Medioriente. Erdogan è il sultano che l’Occidente ama odiare pubblicamente per poi scendere a patti con lui quando serve. E questo il leader turco lo sta sfruttando alla grande.
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