Economia

Europa sotto attacco

di Redazione -

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di EDOARDO GREBLO e LUCA TADDIO
Non c’è ormai settore della nostra vita che possa prescindere dalle tecnologie digitali. La transizione da una realtà quasi completamente analogica a una sempre più digitale ha profonde conseguenze, molte delle quali sono appena riconoscibili all’orizzonte. È dunque inevitabile che le questioni relative a chi possiede le tecnologie del futuro, le produce, ne fissa gli standard e ne regola l’uso siano diventate cruciali nel campo della competizione geopolitica. E infatti, i Paesi più avanzati in questo campo stanno cercando di plasmare gli sviluppi delle nuove tecnologie e di coglierne i benefici tanto dal punto di vista economico quanto in una prospettiva geostrategica. In breve, stanno cercando di proteggere la loro sovranità digitale, cioè la capacità di controllare le nuove tecnologie digitali e le loro (non sempre prevedibili) ricadute sociali. Naturalmente, si tratta di problemi che non hanno lasciato indifferenti i leader politici europei, in particolare relativamente alla questione della sovranità digitale, resa indifferibile dalla necessità di mantenere intatta la capacità dell’Unione europea di giocare un ruolo attivo in una fase storica in cui alcuni Paesi stanno provando a riscrivere i rapporti di potenza sulla scala del mondo. Primo fra tutti la Cina, diventata la sede della start-up di intelligenza artificiale di maggiore valore al mondo e il cui governo ha espresso la volontà di assumere il ruolo di guida mondiale in questo campo entro il 2030.
A questo riguardo, non c’è dubbio che sotto molti aspetti l’Europa sia in ritardo. Non esistono, per esempio, società digitali europee capaci di esercitare un’influenza globale, piattaforme capaci di competere con Google o Tencent. La crescente competizione geopolitica sulle questioni tecnologiche ha reso ormai evidente che questa mancanza di campioni nazionali rappresenta un notevole svantaggio, visto che stiamo vivendo in una stagione di aperta competizione per la leadership mondiale, caratterizzata dal tentativo di Russia e Cina di scalzare gli Stati Uniti e i loro alleati europei dalla posizione di vertice. È in questo contesto che va collocata l’esigenza, per l’Ue, di riguadagnare una piena sovranità digitale, dal momento che proprio la Cina è all’avanguardia nel campo del digitale per le sue applicazioni alla sicurezza e in settori come il riconoscimento facciale, il tracciamento dei dati personali, la sorveglianza di massa e le comunicazioni 5G. Preso atto di tutto ciò, non è facile, tuttavia, immaginare quali possano essere le misure che l’Unione europea dovrebbe intraprendere per acquisire una piena sovranità nel campo del digitale. Quando, in passato, si è tentato di creare dei campioni europei i risultati non sono stati particolarmente brillanti.
Ora, l’Unione europea non è un attore geopolitico in grado di imporsi alle superpotenze. Dispone però di uno strumento che le consente di modellare la governance di Internet, ovvero le normative e i requisiti che impone alle aziende che desiderano avere accesso a un mercato di quasi 450 milioni di potenziali clienti. Non vi è azienda o piattaforma che possa permettersi di ignorare le dimensioni e il valore di mercato costituiti dai cittadini dell’Unione, e ciò rappresenta una straordinaria opportunità per rafforzare le capacità regolative e regolamentari delle istituzioni comunitarie. Una opportunità che l’Ue ha saputo cogliere, dando vita a un quadro unificato di principi, regole e regolamenti che ha suscitato l’ammirazione di alcuni e l’esasperazione di altri. Rinunciando al precedente atteggiamento di laissez-faire nei confronti della regolamentazione tecnologica a favore di un approccio più assertivo, l’Ue è intervenuta attivamente per incrementare gli standard posti a protezione della privacy, imporre multe antitrust alle aziende tecnologiche e orientare il dibattito su questioni scottanti come quelle relative al ruolo dell’etica digitale in rapporto alla regolamentazione e alla governance del digitale.
Questo cambiamento è stato imposto dalla crescente consapevolezza che l’Europa deve proteggere i propri valori, interessi e cittadini in uno spazio digitale che sta gradualmente diventando un campo di battaglia geopolitico, geoeconomico e geostrategico. Mancando delle credenziali tecnologiche necessarie per competere con la Cina e gli Stati Uniti, l’Ue ha così iniziato a plasmare l’ecosistema digitale esercitando il suo potere normativo di introdurre norme extraterritoriali vincolanti per chiunque non intenda restare escluso da un mercato così importante. Come ha affermato Thierry Breton, commissario per il mercato interno, “non siamo noi che dobbiamo adattarci alle piattaforme di oggi. Sono le piattaforme che devono adattarsi all’Europa”. Il risultato è che oggi l’Ue è la principale potenza normativa digitale del pianeta. Ma il potere normativo è sufficiente a proteggere gli interessi e la visione dell’Europa nel campo delle tecnologie digitali?
Probabilmente no. L’Europa dovrà evolvere da superpotenza normativa a superpotenza tecnologica se intende salvaguardare i propri valori e interessi nello spazio digitale, raccogliere i benefici economici delle tecnologie digitali emergenti e mantenere gli europei al riparo dalla disinformazione e dagli attacchi informatici. Finora si è preoccupata più di scrivere le regole del gioco che di entrare in partita. Al che si dovrebbe osservare, però, che a vincere le partite non sono gli arbitri, ma i giocatori. L’Ue dovrebbe perciò integrare il suo peso normativo con investimenti nelle infrastrutture, nelle competenze e nell’industria digitali, e diventare così un attore digitale a pieno titolo. Anche grazie alla collaborazione della comunità tecnologica e alla co-governance pubblico-privato, dato che se è l’Ue a disporre della facoltà di fissare le regole, sono le aziende – che possiedono gran parte dell’infrastruttura digitale mondiale – a trovarsi nella posizione migliore per applicarle e farle rispettare.

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