Economia

“Europa vaso di coccio tra Usa e Cina. Il Green Deal fa scappare le imprese”

di Giovanni Vasso -


Gianclaudio Torlizzi, economista, giornalista e scrittore, ha fondato T-Commodity, società di consulenza specializzata in market intelligence, risk management e formazione su commodities e cambi valutari. Torlizzi è tra i più stimati ed ascoltati analisti italiani ed europei specialmente sui temi delle materie prime e dell’energia. Argomenti che, oggi, sono decisivi.
Da Volkswagen a Basf, fino a Tesla. Le aziende scappano dall’Europa. La politica punta il dito contro l’Inflaction Reduction Act americano, l’Ira generosa di Biden. È così?
“In parte è così. La transizione energetica comporta dei costi molto sostenuti per le aziende. Non nasce da un impulso dell’industria ma è una manovra assunta dall’alto assunta dai governi, certamente per fini nobilissimi, ma che le aziende subiscono. Questo processo richiede molti soldi che l’Ue è recalcitrante a distribuire, a differenza degli Usa. Sul fronte americano l’obiettivo è incentivare le aziende a proporre energia accessibile a tutti, in quello europeo la ratio è all’opposto: si mira a spingere al rialzo l’energia fossile, al punto da renderla insostenibile per i consumatori e generando, così, un appeal automatico nei confronti delle rinnovabili. Questo approccio è il principale responsabile di una delle cause per cui le aziende investono negli Stati Uniti o in Cina: l’innalzamento strutturale dei costi energetici. Gli incentivi dell’Ira hanno un ruolo importante che dovrebbe far riflettere l’Ue. Che, invece, vorrebbe fare una transizione a costo zero o, quantomeno, la vorrebbe “pagata” dai singoli Stati a seconda dei rispettivi spazi di bilancio”.
Quanto costa, nel mondo, l’energia e quanto ci costa l’approccio Ue a questo tema?
“Il gas negli Usa quota cinque volte meno che da noi. In Cina, il prezzo del carbone si è fortemente abbassato con la riapertura delle miniere. Certo, possiamo dire agli altri che inquinano mentre noi ci prefiggiamo obiettivi nobili. Ma l’approccio europeo è il principale responsabile di una delle cause per cui le aziende oggi preferiscono investire negli Stati Uniti o in Cina: il costo dell’energia. In verità, oggi, chi davvero vorrebbe una vera transizione energetica contesta l’atteggiamento dirigistico dell’Ue, che vorrebbe decidere come e cosa fare senza badare alle conseguenze, che non solo soltanto quelle legate all’inflazione ma anche, per esempio, quella di consegnarsi alla mercé del governo cinese…”.
C’è chi sostiene appunto che l’Ue stia scappando dalla padella energetica russa per finire sulla brace cinese…
“La Cina è stata capace di costruirsi una leadership nel settore delle rinnovabili, sia per quanto riguarda la filiera a monte sia a valle. Lo ha fatto ottenendo il controllo diretto o indiretto dell’estrazione dei metalli necessari e, soprattutto, della raffinazione che rappresenta il vero collo di bottiglia, l’autentico valore aggiunto che Pechino può vantare. Europa e Usa, negli ultimi trent’anni, hanno delocalizzato lì il settore della raffinazione perché si tratta di un processo produttivo altamente inquinante. Adottare lo stesso approccio delle politiche climatiche in un contesto come quello attuale, caratterizzato da una crescente deglobalizzazione, in cui l’economia mondiale torna ad essere divisa in due blocchi, quello euro-atlantico e quello asiatico rappresentato dalla Cina e dalla Russia, pone l’Europa in un in una in una situazione di estrema vulnerabilità nei prossimi anni”.
L’Ue ci crede davvero all’energia verde. Ma possiamo affidarci solo alle rinnovabili?
“Che Pechino punti sull’elettrico, perché storicamente in ritardo sul motore a combustione, è comprensibile. Che l’Europa la segui a ruota lo è meno, anzi è deleterio. Il processo dovrebbe andare di pari passo. Attualmente le rinnovabili non sono in grado di soddisfare le esigenze del mercato. Lo abbiamo appreso nel corso della crisi del 2021. Basta un anno con venti più deboli e le capacità di generazione e di produzione energetica dell’eolico si riducono. Oggi la tecnologia non permette di superare il problema dell’intermittenza, nelle rinnovabili. Pertanto, la formula che adesso sarebbe più sostenibile per la transizione energetica, che non affondi le imprese e le tasche dei cittadini, sta nel fatto che lo sviluppo delle rinnovabili proceda di pari passo con quello delle energie fossili. Poi, se un domani saremo così bravi e fortunati da poter contare sull’energia nucleare a fusione, allora potremmo rivedere tutto. Ma adesso dobbiamo essere realisti. Dobbiamo riconoscere, cioè, che i nostri nobili tentativi di decarbonizzare il mondo si scontrano davanti alla realtà di non avere una tecnologia in grado di poter raggiungere questi obiettivi che ci siamo posti. Infatti, per mantenere bassi i costi dell’energia, la stessa Cina è tornata a scommettere, in maniera molto forte, sul carbone. Mentre solo pochi giorni fa l’America di Joe Biden ha autorizzato nuove trivellazioni in Alaska, per aumentare il contributo “petrolifero”. E l’Europa finisce tra l’incudine e il martello. Così che noi, per rispettare gli zelanti target climatici che ci siamo imposti rischiamo di ritrovarci, tra dieci anni, con le emissioni che non si saranno ridotte perché intanto gli altri continuano e continueranno a bruciare fossili mentre noi saremo sostebili ma poveri, sostenibilmente poveri, diciamo così. Sarebbe l’epilogo di una decrescita assolutamente infelice”.
Il crac di Silicon Valley Bank può scatenare un effetto contagio sul sistema bancario Usa e occidentale? Siamo di fronte a una nuova Lehman Brothers?
“A mio avviso non c’è non alcun rischio contagio poiché la Fed è intervenuta offrendo alle banche americane prestiti a un anno prezzando i titoli di Stato messi a garanzia alla pari, non al prezzo di mercato. Quella è stata diciamo così la mossa che va a insistere sulla criticità di oggi insiste sulle banche cioè di avere in pancia dei titoli di Stato deprezzati rispetto all’anno scorso, perché naturalmente nel momento in cui la Fed ha investito la politica monetaria iniziato ad alzare i tassi di interesse, il valore si è fortemente ridotto quindi molte banche soprattutto regionali hanno oggi in pancia delle perdite di portafoglio. Non mi aspetto, dunque, una nuova Lehman Brothers. C’è un fatto e cioè che il 60% degli americani ha in banca liquidità per oltre 250mila dollari ma al momento il limite di garanzia federale sui depositi rimane a 250mila. Al di là del fatto che Svb sarà, con ogni probabilità, aiutata perché i correntisti sono molto vicini all’area democratica alla guida del Paese, ci sarà uno spostamento di liquidità dalle banche piccole alle banche grandi. Da ciò emergerà maggiore concentrazione bancaria. Le molte banche grandi compreranno banche piccole e quindi da questo fenomeno uscirà usciranno attori bancari che da grandi diventeranno grandissimi”.

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