Expo Osaka 2025, SVA-9: il volo che unisce due mondi
All’Expo di Osaka, nel cuore del Padiglione Italia, sospeso come in un’eterna planata tra passato e futuro, c’è un aereo che non vola ma racconta: è lo SVA-9, il biplano di legno e tela con cui l’aviatore vicentino Arturo Ferrarin (1895-1941), nel 1920 compì uno dei raid più incredibili del Novecento: Roma-Tokyo, 18.000 chilometri in 106 giorni, un’impresa che profumava di poesia e diplomazia, ideata da Gabriele d’Annunzio e dal giapponese Harukichi Shimoi, che avevano solidarizzato nelle trincee della Grande Guerra.
Un secolo dopo a Osaka e la nuova sfida dell’SVA-9
Oggi, a più di un secolo di distanza, quell’aereo è tornato in Giappone. Non lo stesso, certo. Ma una copia perfetta, ricostruita centimetro dopo centimetro, vite dopo vite, da un artigiano del cielo veneto, Giorgio Bonato. Passeggiare nel Padiglione Italia è come entrare in un’idea. Un’idea di rigenerazione, di bellezza che non si consuma, di storia che non si dimentica. Il tema scelto per rappresentare il nostro Paese è “L’arte rigenera la vita”, e nulla incarna meglio questa visione dello SVA-9 che fluttua tra le travi di legno chiaro progettate da Mario Cucinella, architetto italiano di fama mondiale.
Qui, dove le fibre naturali si intrecciano con l’alta tecnologia, l’aereo di Ferrarin è diventato icona silenziosa di un’Italia che sa ancora costruire ponti con le mani, con l’ingegno, con la memoria. Il velivolo esposto non è una replica qualsiasi. È il frutto di un lavoro maniacale, filologico, quasi sacrale. Giorgio Bonato, fondatore di HangarFusina a Bassano del Grappa, ha dedicato anni allo studio dei disegni originali, al recupero dei materiali d’epoca, alla costruzione artigianale che restituisse allo SVA-9 non solo l’aspetto, ma l’anima. Non ha lasciato nulla al caso. Ogni longherone, ogni tirante, ogni cucitura della tela racconta di ore di lavoro, di passione pura. Lontano dalle catene di montaggio, lontano dalla produzione seriale. È un gesto d’amore, un volo dentro la storia.
“Lo SVA-9 è un simbolo – spiega Bonato, tra i padiglioni affollati dell’Expo –. Non solo dell’abilità tecnica italiana, ma del desiderio di dialogo tra mondi lontani. Costruirlo è stato come costruire un ponte: tra passato e futuro, tra Italia e Giappone, tra artigianato e cultura. È il nostro modo di ricordare che la bellezza può ancora mettere in moto qualcosa di profondo, di umano, di universale.» E non finisce qui. Bonato, pilota civile dal 1988, ha annunciato che il viaggio proseguirà davvero.
Dopo Osaka, un secondo SVA-9, che è gemello dell’esemplare esposto, solcherà i cieli per compiere l’impresa inversa: da Tokyo a Roma, 105 anni dopo. Un volo reale, a tappe, che diventa gesto simbolico, quasi liturgico: il ritorno del protagonista, il rientro in patria, la chiusura di un cerchio. Ma anche l’apertura di un dialogo nuovo, moderno, tra culture lontane eppure sempre più vicine.Nel mondo delle architetture effimere dell’Expo, dove il design si misura spesso in effetti speciali e provocazioni visive, il padiglione italiano spiazza per sobrietà e coerenza. È fatto quasi tutto in legno, modulare, smontabile. Una volta chiuso l’evento, non sarà demolito ma riutilizzato. Sarà una banca di materiali, un’eredità concreta. La sostenibilità, qui, non è un’etichetta da marketing, ma un principio costruttivo.
Lo SVA-9 è lì, al centro. Non su un piedistallo, ma in volo. Non rinchiuso in una teca, ma libero nell’aria. E intorno, flussi di visitatori si fermano, leggono, fotografano. Ma soprattutto ascoltano. Perché l’aereo non parla solo con le eliche o le ali: racconta con la sua stessa presenza una storia italiana di ingegno, ardimento e poesia. Il racconto che Ferrarin portò con sé, nel 1920, era quello di un Paese che voleva riconciliarsi col mondo dopo la Grande Guerra. Era un gesto di pace, di apertura, di fiducia. E oggi, tra tensioni globali e nuove guerre che divorano terre e coscienze, quel gesto torna a risuonare. Non come nostalgia, ma come proposta. Volare per unire. Volare per comprendere. Volare per scoprire. C’è qualcosa di antico e insieme attualissimo in questa scelta. Il biplano costruito da Bonato non è un oggetto da museo, ma un messaggero. Un ambasciatore silenzioso di valori che non invecchiano: il coraggio, la curiosità, il rispetto tra popoli. E se lo guardi bene, se ti fermi abbastanza, senti che non è fermo. Senti che vibra. Che aspetta solo il momento per ripartire. Perché la vera impresa non è stata solo Roma-Tokyo. La vera impresa è credere ancora che si possa volare.
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