Economia

Fake Food

di Giovanni Vasso -


Per gli agricoltori italiani, i guai non finiscono mai. Non basta la siccità, non bastano le alluvioni. A complicare la vita di chi investe e dedica la propria vita all’agroalimentare ci sono anche la contraffazione, l’adulterazione e la truffa che è sempre dietro l’angolo, per i consumatori dell’intero pianeta. E, per l’Italia, si tratta di uno schiaffo in pieno volto. Dal momento che dall’agroalimentare dipende il 4% dell’intero Pil nazionale, per un rapporto che fa dell’Italia la seconda “potenza” agricola e alimentare dell’intera Unione europea. Il falso, oltre a rappresentare un problema per i produttori, rischia di trasformarsi in un guaio per i consumatori. È il caso del miele. Coldiretti stima che la produzione italiana, a causa dei fenomeni atmosferici e, soprattutto, dopo le piogge e il freddo fuori stagione registratosi tra aprile e maggio, potrebbe perdere fino all’80 per cento dei suoi volumi. Piove sul bagnato, è proprio il caso di dirlo. Perché già nel 2022 si era perduto quasi un vasetto su quattro, in termini di prodotto. Il dramma è al danno delle produzioni crollate si aggiunge la beffa delle importazioni. Che, troppo spesso, portano sulle tavole degli italiani prodotti che non sarebbero all’altezza. La stessa Coldiretti riferisce che un vasetto su due è sospetto di adulterazione, con picchi clamorosi per l’import dalla Turchia e dalla Cina. Il miele, però, non rappresenta che la punta di un iceberg che rischia di mandare a picco un settore vitale per l’intera economia italiana.
Soltanto negli Stati Uniti, nel 2022, sono stati prodotti formaggi “falsi” per un quantitativo stimato in circa 2,7 miliardi di chili. Il fake italiano è talmente gettonato che vende di più persino delle produzioni locali. La tecnica per inserirsi in un mercato lucrosissimo è quella dell’italian souding. In pratica, si impongono a prodotti che tutto saranno fuorché nazionali, nomi che strizzano l’occhio al tricolore. Ed ecco, per esempio, il plotone di formaggi che fa il verso a un’eccellenza come il Parmigiano Reggiano: Parmesan, Parmesao, Reggianito, Parmesano. Ma, assicurano da Coldiretti, sono stati “clonati” anche il provolone, il gorgonzola, l’Asiago e la fontina.
Dopo i formaggi, ecco i salumi: dalla mortadella fino al salame cacciatore e al prosciutto San Daniele, tutti finiscono clonati. E dal momento che non c’è tagliere senza un bel bicchiere di vino, spuntano come funghi le copie del Prosecco. Dalla Germania fino all’Austria, l’importante è mantenere il suffisso -secco, poi si va di fantasia. Addirittura ci sarebbero aziende brasiliane che rivendicano di potersi fregiare dell’utilizzo di denominazioni tipicamente italiane. Uno dei mercati in cui si assisterebbe a un’autentica impennata dell’italian souding è quello russo. Complici le sanzioni, la sparizione dagli scaffali delle merci italiane ha aperto una voragine che produttori locali senza troppi scrupoli si affrettano a riempire di cibi che di italiano hanno solo una vaghissima eco nel nome commerciale.
Insomma, alla fine della fiera e secondo i conti di Coldiretti, l’agroalimentare italiano registra mancati incassi per ben 120 miliardi di euro. Venti dei quali verrebbero patiti dalle sole aziende venete. Al punto che il governatore Luca Zaia, qualche settimana fa, ha chiesto all’Ue di tutelare le produzioni d’eccellenza del territorio.


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