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Mangone ambasciatore Culturitalia

di Marco Montini -


Un artista ribelle, fuori dagli schemi. La sua pittura è un viaggio emozionale senza confini, metafora di vita e di libertà. “È il mio messaggio di pace per l’umanità”, sottolinea Fernando Mangone. La sua arte assume, così, un valore universale, attraverso la sua pennellata potente, vibrante, dominata dal colore. Un pittore globetrotter, che ha attraversato Paesi, per poi decidere di rientrare nella sua terra, alle sue origini. Una trasfigurazione di archetipi e miti, di città, nel recupero di una spiritualità ancestrale legata alla natura e alla vita. Fernando Mangone nasce nel 1958 ad Altavilla Silentina (SA). Dopo gli studi al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove si diploma “magna cum laude” nel 1981, inizia un percorso artistico che lo porta a vivere e lavorare tra Firenze, Roma, Olanda e Berlino, collaborando con gallerie, istituzioni e movimenti culturali internazionali. Tornato in Italia, prosegue la sua ricerca tra pittura, scultura e street art, realizzando opere per committenze pubbliche e private. Nel 2019 nasce il sodalizio con il critico Luciano Carini, che porta Mangone ad esporre in mostre di rilievo, fino alla partecipazione alla Biennale di Venezia, al Moma di New York e negli istituti di cultura d’Europa. Oggi Mangone continua la sua attività con rinnovata energia creativa, riconfermando il suo ruolo di artista e performer apprezzato in Italia e all’estero.

Maestro Mangone, come nasce il suo amore per l’arte e cosa rappresenta per lei?
“L’arte per me è sempre stata un bisogno naturale, un modo per trasformare emozioni e visioni in immagini. Fin da ragazzo osservavo il mondo e lo traducevo in segni e colori. Oggi la considero un ponte tra realtà e immaginazione, un dialogo con chi guarda, fatto di forme forti e pennellate istintive nate da un esercizio quotidiano”.

Lei è stato nominato Ambasciatore di Culturitalia nel Mondo. Quali sono gli obiettivi di questo ruolo? 

“È un onore che vivo come impegno, raccontare con la mia pittura la bellezza dei luoghi e delle comunità, dalle grandi città d’arte al mio Cilento. L’obiettivo è trasformare memoria e identità in un linguaggio artistico capace di viaggiare e dare nuova luce al nostro patrimonio”.

Maestro, ci racconta cosa vuole comunicare attraverso le sue opere? 

“La mia pittura è un viaggio che unisce urbano e mitologico, sacro e profano, storia e presente. Ogni quadro è identità che diventa universale. Voglio che lo spettatore entri in dialogo con i miei colori, ritrovando vitalità, tensione, poesia e contemporaneità. Il fatto che anche all’estero i miei lavori, spesso legati all’Italia, siano amati è per me segno che la nostra cultura sa parlare a tutti”.

Quanto è importante l’arte in un Paese come l’Italia, così ricco di bellezze artistiche e siti Unesco? 

“Viviamo in un Paese che è un museo a cielo aperto. Ogni borgo, ogni pietra, ogni strada custodisce tracce di storia e di arte. Ma proprio per questo, l’arte contemporanea diventa ancora più necessaria. Non possiamo vivere solo di eredità, abbiamo bisogno di nuove voci, di nuove immagini che dialoghino con il passato ma guardino avanti. La pittura oggi è uno strumento di interpretazione, una lente per rinnovare lo sguardo e dare nuove forme alla bellezza”.

Di recente ha fondato la Fondazione F.A.M. ETS. Ce ne parla? 

“La Fondazione Fernando Arte Mangone è uno dei sogni più grandi che sono riuscito a realizzare. È nata dal desiderio di restituire qualcosa al mio territorio, il Cilento, che mi ha formato e ispirato. Dopo tanti anni di lavoro e di esperienze vissute in giro per il mondo, sentivo la necessità di riportare qui una parte del mio percorso, trasformandolo in un progetto che potesse durare nel tempo. La Fondazione non custodisce solo le mie opere, ma vuole essere un luogo di incontro, di formazione, di dialogo tra artisti e comunità. È un ponte tra tradizione e innovazione, tra il radicamento nella terra e l’apertura al mondo. È un sogno che ho potuto realizzare anche grazie alla collaborazione di figure come la presidente Anna Coralluzzo e il vicepresidente Nicola Arpaia, che hanno creduto insieme a me nella possibilità di creare qualcosa di vivo e generativo”.

La sua arte è conosciuta anche a New York. Che valore ha per lei questo riconoscimento internazionale? 

“Sapere che la mia arte ha varcato oceani e confini, arrivando in una città come New York, è una delle gratificazioni più grandi. New York è il centro pulsante dell’arte contemporanea, un crocevia di culture e linguaggi. Che le mie opere siano state accolte e apprezzate lì significa che ciò che dipingo ha una forza universale, capace di parlare a chiunque, al di là delle barriere geografiche e culturali”.

Se dovesse descriversi con tre aggettivi, quali sceglierebbe? 

“Mi piace definirmi Rock’n’Roll, perché la mia pittura ha un’energia ribelle, un ritmo che vibra e scuote. Sono istintivo, perché dipingo seguendo impulsi viscerali, lasciando che l’emozione si traduca in segno senza mediazioni. E sono psichedelico, perché amo fondere colori audaci e forme intricate in visioni che trasportano lo spettatore in mondi alternativi, in dimensioni immaginative dove la realtà si intreccia con il sogno”.

Qual è il suo legame con il territorio? 

“La mia Altavilla Silentina, il mio Cilento, qui c’è il mio paesaggio interiore, fatto di profumi, di voci, di storie antiche e di silenzi. Le esperienze internazionali mi hanno arricchito, ma il ritorno alla mia terra ha dato una nuova profondità al mio lavoro. Penso al murale dedicato al cambiamento climatico, con l’orso polare che diventa simbolo della nostra epoca, lì ho voluto che la mia arte fosse non solo bellezza, ma anche coscienza civile”.

C’è un’opera a cui è particolarmente legato 

“Una delle opere che porto nel cuore è il polittico di Paestum. In esso ho voluto catturare la forza eterna dei templi dorici, trasformandoli in simbolo di radici e identità. È un’opera che unisce memoria e contemporaneità, e ogni volta che la rivedo sento di aver fissato sulla tela un dialogo vivo con la mia terra”.

Infine, Maestro Mangone, che ruolo dà all’arte oggi? 

“L’arte oggi è più che mai necessaria. È testimonianza, provocazione, rifugio e rivelazione. È un linguaggio universale che ci aiuta a interpretare il presente, a dare voce a ciò che spesso non si riesce a dire con le parole. Per me la pittura è un atto d’amore e di ribellione, è un modo di gridare e allo stesso tempo di accarezzare. Credo profondamente che la bellezza possa cambiare il mondo, un quadro alla volta, e che ogni opera abbia il potere di ispirare, di risvegliare coscienze, di aprire nuove possibilità di dialogo.


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