Cultura & Spettacolo

Ferragni scansati adesso parla (finalmente) Chiara E le altre stiano a sentire

di Nicola Santini -

CHIARA FRANCINI ATTRICE


 

In principio fu Ferragni in Fedez. Quella che parla almeno 18 ore al giorno di fronte al telefonino a proposito di se stessa, e che, arrivata sul palco dell’Ariston decide di sfruttare se stessa per rivolgersi a se stessa versione bambina parlando di se stessa, in una lettera scritta da lei stessa. Un’occasione persa anche per una che nasce blogger con la mission aziendale ( di se stessa) di insegnare alle giovani generazioni come vestirsi, che vestita peggio non poteva andare. Qualcosa non torna, ma lei torna. Stasera. Ci tocca.
Poi fu il turno di Fagnani, che, smesso il manto della Belva, fece capire di avere un cuore e di non avere così tanto a cuore se stessa ma l’opportunità che il palco dell’Ariston le dava offrendolo, generosamente e intelligentemente a chi un microfono per farsi ascoltare, belva o non belva, non ce l’ha. Fu la rivincita delle bionde, il riscatto di quelle che la volevano relegata al ruolo di asfaltatrice. Puoi essere bella, elegante e chic, senza farci chiedere dove sia finito il cervello e parlando di gente che sta in prigione uscire da quella che rischiava di essere la tua prigione. Quella della Belva. Dalla quale sei uscita come una Dea. E sì, la cosa fa ancora notizia. La gente si è stupita di quanto in gamba fosse la Fagnani l’altra sera.
Buon risveglio a tutti.
E buonanotte al secchio, col monologo della Egonu, che ci ha dovuto spiegare che siamo un paese di razzisti. Per carità, tanto rispetto per ciò che ognuno vive nel suo, per ciò che nel proprio vissuto sente di aver subito. E rispetto per ogni genere di ferita individuale. Ma glielo vogliamo spiegare alla ragazza che un Paese razzista non ti consacra come campionessa nello sport e non ti porta sul palco del Festival più longevo e popolare della nazione? Occasione persa anche qui. Poteva dire le stesse cose, senza dire le stesse cose. Lungi da noi voler pensare che lei debba esser grata a chicchessia perché è arrivata dove è arrivata. Perché se è arrivata dove è arrivata è perché è brava. E in un Paese razzista se ne fregano se sei brava, non qui, non in Italia. Smettila di lagnarti. E se tutti quelli che annunciano di voler lasciare il Paese, come spesso accade, lo facessero realmente, ci sarebbero meno piagnoni e più gente felice di stare dove sta. Smettila, Paola, di fare la piagnona: nei Paesi razzisti se le sognano le ventenni osannate nel mondo dello sport e invitate nel programma più seguito dell’anno a dire la propria.
Poi, per fortuna arrivò chiara. Che non disse di essere troia, ma nemmeno di non esserlo. Perché a Sanremo non si parla di questo. E a Sanremo non ce ne frega di chi è troia e di chi non lo è. Ce ne frega del messaggio, che deve, laddove può, essere compreso da quanta più gente possibile e fungere da specchio nel quale non solo riconoscersi ma anche imparare qualcosa. Mi si conceda un copiaincolla, tratto dal testo originale: “ Arriva un momento della vita in cui è chiaro che sei diventato grande: quando hai un figlio.
Ora, io, Chiara, un figlio non ce l’ho, però credo sia una cosa dopo la quale non c’è dubbio non potrai più essere più giovane come lo eri a sedici anni, col motorino, la discoteca e il liceo. E arriva un momento, nella vita, in cui tutti intorno a te cominciano a figliare. È una valanga. Ma… inizia sempre da una che lo sapevi sarebbe diventata mamma prima di tutti. Nel mio caso, la Lucia. C’è stato un giorno, qualche anno dopo il liceo, che la Lucia mi ha chiesto di vederci. Eravamo sedute al bar della piscina, lei era tutta emozionata e a un certo punto, con una faccia che non le avevo mai visto mi fa: “ODDIOOOOO!!! Finalmente posso dirtelo! Sono incinta!”
Incinta. Quando qualcuno ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata, non sai mai che faccia fare”. E così avanti, con quegli occhi stupendi sgranati e commossi, mai drama, mai esagerati, mai falsi, mai funzionali.
Una tematica, finalmente, che non è un pizzino politico, che non porta acqua al mulino di nessuno, che incontra quelle donne e quegli uomini (yes, pure noi) che certi bambini li sognano ma quando si svegliano sanno che i figli saranno sempre e solo quelli degli altri.A volte con sollievo, a volte con rassegnazione, altre con incredulità, altre ancora con rabbia e ostinazione.
Fare paragoni non è mai una cosa bellissima, non nel senso di Annalisa, quantomeno, però quando quando l’intenzione è chiara, anche la storia è Chiara. E sappiamo quale Chiara scegliere.

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