Attualità

Ferrovie, Rai e Finanza la vera mappa del potere

di Cristiana Flaminio -

GIAMPAOLO ROSSI RAI


Non si finisce mai di nominare. E di scontrarsi per poi far pace e tornare a litigare. Governare, parafrasando Mao, non è un pranzo di gala. Ma un continuo punzecchiarsi, nascondersi e palesarsi quando è il momento. La prima infornata di nomine non è ancora passata e i fondi internazionali cominciano a puntare i piedi, da posizioni minoritarie, in Enel e Leonardo. Intanto si prepara la seconda. Che parte da viale Mazzini, dalla Rai per finire a Reti ferroviarie italiane passando per il comando generale della Guardia di Finanza. Un treno di nuovi incarichi è pronto a partire. E i ruoli sono sempre gli stessi: Giorgia Meloni che pretende di giocarsela, ancora, da capostazione e Matteo Salvini che punta i piedi per blindare i suoi piani ministeriali e per completare la sua trasformazione: da super-star dei social e del consenso a uomo del fare.
Nominerai. Carlo Fuortes s’è dimesso. Dicono i maligni che si è deciso dopo che il consiglio dei ministri ha licenziato la norma che manda in pensione i sovrintendenti dei teatri con più di 70 anni di età. In pratica, dopo aver dato il benservito all’attuale sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli, Stephane Lissner, per offrire, a Fuortes (a cui era stata sbattuta in faccia la porta del Teatro Alla Scala di Milano dal sindaco Beppe Sale), la guida del più antico teatro lirico d’Europa. Mentre la città è distratta dallo scudetto, si sta consumando, sul futuro della sua più importante istituzione culturale, un pezzo importante della partita politica delle nomine. Già, perché Lissner – voluto a Napoli dal tandem Franceschini-Nastasi – ha annunciato di non avere la minima intenzione di sloggiare e si prepara a una guerra ferocissima a colpi di carte bollate e, soprattutto, a favor di telecamere, taccuini, blog e twit. A Roma, però, per il momento sono soddisfatti. L’importante era convincere Fuortes, che se n’è andato dispiaciuto dallo “scontro politico” sulla sua persona e senza essere riuscito a portare a casa il piano industriale, a mollare la poltrona. Meloni avrebbe idee ben precise sul futuro a viale Mazzini. Il nuovo ad sarebbe Roberto Sergio, fino al 2024. Quando gli subentrerebbe Giampaolo Rossi, già membro Cda Rai. Le voci parlano dell’intenzione, fermissima, del nuovo corso di “de-piddizzare” la Rai. Qualcuno dice con la complicità del M5s. Già si levano alti lai funebri da sinistra. È una strategia, la solita. Però Meloni ce l’ha qualche sassolino nelle scarpe che ora può togliersi. Non s’è dimenticata, infatti, che ai tempi del governo dei migliori chez Mario Draghi, l’unico partito a non ottenere uno straccio di consigliere in Cda fu – in maniera che definire irrituale è ancora poco – proprio Fdi, che peraltro era l’unico all’opposizione. E ciò avvenne con la “complicità” di Lega e Forza Italia.
Trainspotting. La Lega non ha la minima di cedere di un millimetro. Ha già mostrato a Meloni che Fdi non può fare tutto da sola. E Salvini, su Rfi, non ha nessuna intenzione di lasciare il pallino del gioco in mano agli alleati. In ballo ci sono 24 miliardi di euro. Quelli che il Pnrr ha messo a disposizione per le infrastrutture. Girano molti nomi. Per il vicepremier, il profilo più adatto sarebbe quello (esterno) di Stefano Siragusa, già ad di Ansaldo Sts e alto dirigente delle metropolitane milanesi. In seno al governo, però, è maturata anche la candidatura di Gianpiero Strisciuglio, che oggi ricopre l’incarico di amministratore delegato di Mercitalia logistics. Strisciuglio, pugliese, è nome fortissimo del Sud che unisce in una sorta di alleanza bipartisan, i conterranei politici che contano. Dal ministro Raffaele Fitto fino al governatore della Puglia Michele Emiliano, passando per il capogruppo Pd al Senato Francesco Boccia. La soluzione interna sarebbe caldeggiata anche da Luigi Ferraris, Ceo di Fs. E riporterebbe in gioco le quotazioni di Umberto Lebruto, ad di Fs Sistemi Urbani. Salvini, però, non vuole sentire parlare di frizioni. Almeno in pubblico: “Per quello che riguarda le ferrovie noi entro la settimana chiudiamo d’amore e d’accordo con tutti. Su altre nomine che dipendono da altri ministeri, fate la domanda a chi di competenza”.
Fiamme gialle, veti verdi, sussurri azzurri. Nemmeno Giorgia Meloni vuol sentire troppe chiacchiere. E tuona: “Sulla Guardia di Finanza ho letto molte ricostruzioni abbastanza curiose. Noi abbiamo ancora formalmente un comandante generale che attende. E quindi si procede con serenità quando i tempi lo dicono”. Intanto, però, è saltata la nomina nel cdm di giovedì scorso che avrebbe deciso tra Andrea De Gennaro, fratello dell’ex capo della Polizia Gianni che intanto ha ricevuto l’incarico a interim, e Umberto Sirico che, invece, sarebbe sostenuto dal tandem Crosetto-Giorgetti. Così come è saltato, nei giorni scorsi, l’incontro di maggioranza per decidere sulle sorti di Rfi e così come prosegue a rilento l’esame del dossier Inps e Inail. Antonio Tajani, per completare il quadro, ha affermato che una soluzione si troverà, senza fallo, al prossimo consiglio dei ministri. Se c’è una cosa su cui i tre soci del governo di centrodestra vanno, davvero, d’accordo è questa. Basta chiacchiere.

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