Politica

Finale di partito

di Edoardo Sirignano -

MASSIMO CACCIARI POLITICO


 

“Altro che congresso, siamo alle comiche. Il capo dell’Emilia e la sua vice dovevano lavorare insieme e non competere”. A dirlo il filosofo Massimo Cacciari, che esprime il proprio scetticismo sul futuro del Pd ed esorta la premier Meloni a non parlare più di riforme, come il tanto discusso presidenzialismo. “Altrimenti si suiciderà come Renzi”.
Pd e M5S, pur sapendo di andare verso una sconfitta sicura, nel Lazio, non correranno insieme…
Perché mai dovevano allearsi? Sarebbe stato un caso se avessero trovato un accordo. Se tra due persone o tra due forze politiche non matura un’intesa su programmi e strategie e soprattutto non c’è un confronto reale, non vedo alcuna ragione per intraprendere un percorso comune. Una convergenza poteva esserci solo se casualmente sarebbe spuntato un nome gradito a entrambe le parti, proprio come accaduto in Lombardia. Detto ciò, allo stato, non esiste un denominatore per cui sarebbe logica un’alleanza tra Pd e M5S.
L’esigenza di far riemergere una sinistra, che continua a perdere terreno, magari poteva rappresentare quel trade union per mettere da parte le divergenze?
Cosa vuol dire sinistra? Stesso discorso vale per la destra. Sono slogan o meglio ancora aria fritta.
C’è bisogno, però, di qualcuno che difenda le istanze dei ceti meno abbienti. Può essere il Nazareno?
Il Pd, oggi, ha un elettorato diverso. La sua struttura sociale si è radicalmente trasformata. È chiaro a tutti. Rappresenta un ceto medio, intellettuale, imprenditoriale, che nulla ha a che vedere con i deboli. La sinistra italiana, un tempo, si batteva per altre istanze, così come parte della Democrazia Cristiana. Sono dati oggettivi, indiscutibili. È chiaro come la leadership e la strategia dem risentano di una modifica antropologica della base sociale.
Qualcosa può cambiare col congresso?
Non si può neanche pensarlo. Non c’è stato alcun discorso che parlasse di mutamenti. C’è solo il cambio di qualche nome.
Tra i vari candidati c’è qualcuno in cui si riconosce?
Non li conosco. Non so chi siano. L’unica certezza è che siamo alle comiche. Il capo e la vice di una Regione importante come l’Emilia dovevano lavorare insieme, essere in consonanza e non certamente competere per la segreteria di un partito. Stiamo parlando di chi si divide l’ufficio. Mi viene solo da ridere.
Rispetto a tutto ciò, può beneficiarne Renzi?
Ne sta già approfittando. È l’unica persona che ha un minimo di spessore politico a queste latitudini, anche rispetto allo stesso Calenda. Si è trovato fuori solo perché si è suicidato, tentando una linea di riforme. Detto ciò, stiamo parlando di chi si è fatto da solo. Il resto è un bailamme. È più che prevedibile, pertanto, che possa essere l’unico a poter tirare fuori il naso. Il suo suicidio politico, tuttavia, è stato tanto clamoroso che vedo difficile una sua resurrezione.
Come vede il dialogo tra l’ex sindaco di Firenze e la premier?
Non potranno mai ritrovarsi nel senso politico del termine. Riconoscere alla Meloni un’abilità, una capacità, cessando di darle della fascista, mi sembra solo buon senso e nient’altro.
Calderoli, intanto, chiede alle opposizioni di collaborare per una Bicamerale. La ritiene utile?
Anche in questo caso siamo di fronte a qualcosa di ridicolo. Ci sono state tre-quattro Bicamerali. Nell’Italia di oggi non si faranno mai le riforme. Queste si fanno quando ci sono ceti politici importanti, coalizioni degne di nome. Renzi si è già suicidato per cambiare la Costituzione. Se la Meloni perseguirà tale strada, farà la sua stessa fine. Meglio lasciar perdere. Questo presidenzialismo alla cialtrona è uguale a quello immaginato dall’uomo della Leopolda. L’Italia ha bisogno di riforme di sistema, che toccano Parlamento, governo, Regioni, enti locali, nonché leggi elettorali. Parlare una tantum di federalismo, serve a poco o nulla.
Nel 1993, durante la cosiddetta stagione dei sindaci, qualcuno ha definito determinanti le scelte di primi cittadini come Cacciari, Rutelli, Bassolino…
Non è stato determinante nulla. C’era solo qualcuno che faceva il sindaco per diventare leader di un partito. Nessuno di costoro, a parte il sottoscritto, aveva la minima idea di giocare un ruolo che potesse consentire riforme di sistema.
Gli amministratori di oggi, intanto, nella maggior parte dei casi, non sono neanche considerati…
Certamente! L’ente locale è stato massacrato. Alla faccia del federalismo e delle chiacchiere della Lega. Stiamo parlando del partito più centralista del pianeta. Leninista è il termine giusto per definire il Carroccio di Bossi. Quando ero sindaco e cercavo di mettermi d’accordo su un movimento federalista reale con i sindaci che portavano Alberto da Giussano sulla giaccia, questi venivano massacrati, fucilati. Con Salvini, poi, il partito è diventato un calderone che contiene tutto e l’opposto. Un fenomeno, d’altronde, che riguarda ogni forza in campo, compreso il Pd.
Ricolfi sostiene che la destra fa la sinistra e viceversa. Si ritrova su tale linea di pensiero?
Tutti cercano di fare la parte dell’altro, ma nessuno fa bene la sua. Questa è la politica italiana oggi. Non c’è nessuna vera destra europea-conservatrice, così come non c’è una sinistra.


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