Attualità

Fine vita, e l’incompetenza della politica. Laura Santi è libera: “Non rassegnatevi”

Il messaggio della giornalista che ha scelto il suicidio assistito dopo 25 anni di lotta contro la sclerosi multipla

di Eleonora Ciaffoloni -

Foto: @Associazione Luca Coscioni


Sul fine vita sento uno sproloquio senza fine, l’ingerenza cronica del Vaticano, l’incompetenza della politica”. Questa è solo l’ultima, ma non meno importante, parte del messaggio carico di dolore di Laura Santi, la giornalista perugina che ha scelto il suicidio assistito dopo venticinque anni di lotta con la sclerosi multipla. Laura Santi, 50anni, è morta a casa sua, a Perugia lunedì 21 luglio, a seguito della auto-somministrazione di un farmaco letale. A farlo sapere, con un comunicato, l’Associazione Luca Coscioni. Accanto a lei, suo marito Stefano, “che le è sempre stato vicino anche negli ultimi anni di battaglia sul fine vita. Dopo anni di progressione di malattia e dopo l’ultimo anno di peggioramento feroce delle sue condizioni, le sue sofferenze erano diventate per lei intollerabili”. Una sofferenza per cui la donna aveva fatto richiesta per l’accesso al suicidio assistito quasi tre anni fa. E solamente il mese scorso ha ricevuto il via libera dalla sua Asl di riferimento.

Suicidio Assistito, morta Laura Santi: è il nono caso in Italia

Un percorso lungo, personale e come attivista all’interno dell’Associazione Luca Coscioni che con lei e grazie a lei ha portato nel dibattito pubblico (e politico) un tema che in Italia è da sempre stato estremamente divisivo e, come la stessa giornalista ha definito, “senza fine”. Laura Santi ha dovuto affrontare un lungo e complesso iter giudiziario, civile e penale, per vedere riconosciuto il diritto ad accedere al suicidio medicalmente assistito. Dopo tre anni dalla richiesta iniziale alla Asl, due denunce, due diffide, un ricorso d’urgenza e un reclamo nei confronti dell’azienda sanitaria, solo nel novembre scorso ha ottenuto una relazione medica completa che attestava il possesso dei requisiti stabiliti dalla sentenza 242\2019 della Corte costituzionale e a giugno 2025 la conferma dal collegio medico di esperti e poi del comitato etico sul protocollo farmacologico e delle modalità di assunzione.

Si tratta del nono caso di suicidio assistito nel nostro Paese, ma tanti altri, al momento, sono in attesa di avere risposte dalle proprie strutture mediche, ma anche e soprattutto dalla politica. Ancora una volta, la Corte Costituzionale è chiamata a colmare un vuoto che il Parlamento continua a ignorare: quello sul diritto al fine vita. Nonostante richiami precisi della Consulta, l’Italia resta senza una legge chiara sull’eutanasia.

A farne le spese sono persone reali, come la donna toscana paralizzata dalla sclerosi multipla, autorizzata al suicidio assistito ma impossibilitata ad autosomministrarsi il farmaco. Il suo medico, disposto ad aiutarla, rischia però il carcere: l’articolo 579 del codice penale punisce l’omicidio del consenziente, anche se motivato da pietà. Il caso è ora al vaglio della Corte, che si è riunita l’8 luglio e deciderà entro fine mese. Intanto, resta il paradosso di un diritto teoricamente riconosciuto ma concretamente irraggiungibile. Le zone grigie normative e i cavilli burocratici lasciano soli malati e medici, mentre il Parlamento resta immobile. Eppure, il tempo delle sentenze non può sostituire per sempre quello delle leggi.
Intanto, Laura Santi è libera. E l’appello che lascia può rimanere inascoltato: “Ricordatemi, non vi stancate di combattere, non vi rassegnate mai, anche quando le battaglie sembrano veramente invincibili”.


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