Esteri

Finlandia e Svezia nella Nato: il sì di Erdogan ha un prezzo (forse)

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, dietro il no del “sultano” potrebbe esserci una trattativa in corso

di Adolfo Spezzaferro -


“Le delegazioni di Finlandia e Svezia possono risparmiarsi il viaggio in Turchia”: Erdogan ribadisce il suo no al loro ingresso nella Nato. Una presa di posizione netta, a sottolineare che il “sultano” forse davvero non intende rinunciare al suo ruolo terzo rispetto a Occidente e Russia. L’obiettivo di Erdogan potrebbe infatti essere quello di fare da mediatore per i negoziati di pace russo-ucraini. Anche perché – basta guardare la mappa geografica – il presidente turco di fatto ha un piede nella Nato e uno nel Mar Nero. In questa crisi il ruolo geopolitico della Turchia è fondamentale, e permette ad Erdogan di spingere per una soluzione diplomatica del conflitto russo-ucraino. In tale ottica è riduttivo, dunque, ritenere che il no a Finlandia e Svezia nasca dalla volontà di non nuocere alla Russia. Erdogan non vuole schierarsi contro Mosca né a favore. E finora è riuscito a restare in equilibrio su questo sottile filo che fa gli interessi turchi non nuocendo a quelli russi. Il problema ora è fare gli interessi della Nato: ipotesi per ora non contemplata dal “sultano”. A meno che la contropartita non valga davvero la pena.
Non è escluso infatti che Erdogan stia soltanto alzando il prezzo: in cambio del suo sì a Finlandia e Svezia nella Nato, via l’embargo sulla vendita di armi alla Turchia. Deciso proprio da i due Paesi scandinavi (la Svezia è un grande produttore ed esportare di armamenti) dopo gli attacchi turchi contro i curdi in Siria. O magari avere le mani (ancora più) libere su Libia e Siria. Oppure altri soldi dall’Ue per tenersi gli immigrati. Insomma, potrebbe essere questa la merce di scambio. Anche se ufficialmente, come è noto, il no di Erdogan è motivato dalla presenza di terroristi del Pkk e soprattutto dei gulenisti del movimento Hizmet – ritenuto da Ankara responsabile del tentato golpe del 2016 – in Finlandia e Svezia. Al contempo, sulla bilancia – come abbiamo detto – pesa pure l’embargo sulle armi. “Non diremo di sì all’ingresso nella Nato a coloro che impongono sanzioni contro la Turchia”, avverte Erdogan.
Sul fronte dei terroristi ospitati dai due Paesi scandinavi, oggi il ministero della Giustizia turco riferisce che Helsinki e Stoccolma si sono rifiutate di estradare diverse personalità legate al terrorismo individuate dalla Turchia. Nella nota, il ministero sottolinea che negli ultimi cinque anni, il governo finlandese ha respinto la richiesta di estradizione ricevuta da Ankara per sei “terroristi del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk)”, considerato dall’Unione europea, Usa, e Turchia un’organizzazione terroristica. Nonché per sei “terroristi del Gruppo terroristico gulenista (Feto)”. Stesso discorso per il governo svedese, che ha respinto la richiesta di estradizione per “21 terroristi, di cui dieci legati a Feto e undici al Pkk”. Inoltre, secondo il ministero turco, mentre nove richieste di estradizione sono in fase di analisi da parte delle autorità scandinave, altre cinque domande, avanzate nel 2017, “devono ancora ricevere risposta”.
Più in generale, se da un lato l’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato non solo allontanerebbe la pace in Ucraina ma creerebbe un nuovo fronte di tensione militare nel Baltico, dall’altro la Turchia punta ad avere un ruolo egemone nel Mediterraneo, anche in virtù del fatto che le navi russe del Mar Nero devono passare per il Bosforo per arrivare al mare nostrum. Certo è però che la Turchia punta agli armamenti (in primis i caccia F16 Usa): se Helsinki e Stoccolma dovessero togliere l’embargo, forse Erdogan potrebbe ripensarci. Ma a quel punto si metterebbe contro la Russia, da cui oltre al gas compra armi, per l’appunto. Ecco, il “sultano” sta valutando se ne vale davvero la pena. Anche perché per la posizione strategica della Turchia, la Nato se la deve tenere buona (basi comprese).


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