Fontana e Zaia, asse per rilanciare la Lega Salvini è “avvisato”
“Romeo deve insistere perché la Lombardia resti alla Lega”. Romeo è Massimiliano, ed è il capogruppo al Senato e segretario regionale della Lega in Lombardia. A parlare è il governatore Attilio Fontana. Il suo non è un incidente dialettico. È la tessera di un disegno più ampio: un asse che unisce Lombardia e Veneto e che, sotto traccia, prepara il dopo Salvini.
La campagna elettorale in Veneto
Mentre in Veneto la campagna elettorale è ormai nel vivo, con Luca Zaia sceso in campo da settimane come capolista per sostenere Alberto Stefani il 23 e 24 novembre, in Lombardia Fontana suona la stessa musica. Le sue parole, apparentemente rivolte agli alleati di coalizione, hanno un destinatario interno preciso: il segretario federale. “La Lombardia deve restare alla Lega”, ha ribadito, come a rivendicare il diritto del Nord di decidere da sé. E non è un caso che il suo intervento arrivi nel pieno della corsa veneta, quando tutto il Carroccio misura sul campo la propria capacità di sopravvivere all’erosione dei consensi e al predominio di Fratelli d’Italia. Fontana e Zaia si muovono in sintonia. Entrambi rappresentano l’anima amministrativa della Lega, quella che parla ai territori e non ai social. Entrambi hanno mantenuto consenso personale anche nei momenti più duri del partito. E oggi, mentre Salvini appare logorato da una leadership che non scalda più, sono loro a incarnare il tentativo di rimettere in moto un Nord leghista, pragmatico e autonomista. A Padova, dieci giorni fa, durante la presentazione ufficiale della candidatura di Stefani, l’applausometro ha raccontato più di mille analisi. Primo Zaia, poi Stefani, terzo Mario Conte, sindaco di Treviso e presidente dell’Anci veneta. Solo quarto, e distante, Matteo Salvini. Il segnale è arrivato chiaro: la Lega veneta è già in trincea, e il baricentro del partito si è spostato. Zaia lo sa bene: questa campagna non è solo per vincere la Regione, ma per misurare la sua forza nel partito e nel Paese. Se riuscirà a ridurre il divario con FdI, che alle Europee aveva toccato un vantaggio di 34 punti, il Doge potrà presentarsi come il vero artefice della rinascita leghista.
Le dichiarazioni
E Fontana, con le sue parole, ne è il primo alleato politico. “Si devono fare valutazioni che prescindano dai numeri”, ha sottolineato il governatore lombardo. Tradotto: non basta contare i voti, serve credibilità di governo. È il linguaggio che Zaia parla da sempre, quello della buona amministrazione come identità politica. Non ideologia, ma risultati. Non tutti, però, applaudono. In FdI la reazione è immediata. Carlo Maccari, Romano La Russa e Christian Garavaglia bollano come “poco opportuno” l’intervento di Fontana. “Come primo partito in Lombardia – hanno osservato – FdI saprà esprimere candidati competenti e affidabili”. Ma dietro le dichiarazioni ufficiali, la tensione cresce. L’accordo informale che prevede Veneto alla Lega e Lombardia a FdI nel 2028 scricchiola sotto i colpi del carroccio nordestino che non vuole farsi commissariare dalla premier Meloni.
La direzione del Veneto
Perché la verità è che il centrodestra vive oggi un equilibrio instabile: Meloni guida il governo e domina nei sondaggi, ma nel cuore produttivo del Paese Zaia e Fontana vogliono cambiare la direzione del vento. Lì, dove la Lega è nata, il richiamo all’autonomia e al buon governo torna a far presa. Zaia lo interpreta con l’istinto del veterano. La sua campagna è fatta di chilometri e strette di mano, non di proclami. Parla di agricoltura, sanità, infrastrutture, e punta a ricucire un rapporto diretto con gli elettori che alle ultime elezioni si erano rifugiati altrove. Ogni tappa è un referendum sul futuro della Lega: se regge il Veneto, il partito può ripartire; se crolla anche qui, l’era Salvini è davvero finita. Fontana, dal canto suo, tiene la linea. Difende la Lombardia come bastione leghista e rinsalda l’intesa con Zaia in nome di una “questione settentrionale” che sembrava sepolta. “Il Nord deve contare di più nelle scelte nazionali” è la frase che ripete a porte chiuse. E dentro quel “di più” c’è il senso di una sfida che travalica le regioni e tocca il cuore del potere politico.
Le elezioni di fine novembre
Il 23 e 24 novembre non si voterà solo per il governatore del Veneto, ma per il futuro del Carroccio. Se l’accaoppiata Stefani-Zaia otterrà un buon risultato, l’ascesa del Doge sarà difficilmente arrestabile. Se fallirà, l’asse con Fontana resterà un tentativo incompiuto. Ma in ogni caso, la partita è già nazionale.
Le parole del governatore lombardo non sono dunque un lapsus, ma la conferma di una strategia: ridare al Nord una voce unitaria e alla Lega un progetto. In Veneto si combatte, in Lombardia si prepara la mossa successiva. E a Roma, tra chi osserva, nessuno finge più di non aver capito.
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