Francesca Michielin e body shaming: “La battaglia contro gli haters che riguarda tutte”
Vittima di Body shaming Francesca Michielin risponde e lancia un appello
“La dovete smettere. Ho le spalle larghe perché so cos’ho passato, ma penso alle tante ragazze che ricevono e leggono questi commenti“. Con queste parole, la cantante veneta Francesca Michielin, ha scelto di rispondere pubblicamente a una serie di insulti subiti sui social a seguito della sua partecipazione all’ultimo Festival di Sanremo. Al centro delle critiche, il suo aspetto fisico, oggetto di body shaming gratuito e feroce. Ma ciò che ha colpito, oltre all’insulto, è stata la scelta della cantautrice di non restare in silenzio. Di ribellarsi non solo per sé stessa, ma per tutte quelle ragazze che si sentono inadatte, giudicate, inadatte.
Non solo Francesca Michielin, la pratica del body shaming diffuda sui social
Non è la prima volta che Francesca viene bersagliata dagli odiatori della rete per il suo corpo. E non è nemmeno la sola. Il fenomeno del body shaming è diventato una piaga diffusa sui social network: colpisce cantanti, attrici, conduttrici, sportive, studentesse e lavoratrici. Chiunque si esponga pubblicamente, soprattutto se donna, finisce potenzialmente nel mirino. Il corpo diventa pretesto per attacchi volgari, per giudizi non richiesti, per veri e propri sfoghi d’odio. L’apparenza viene posta sotto processo, ignorando talento, personalità, esperienza. E la rete, purtroppo, non perdona.
Gli altri casi e le reazioni
La vicenda della talentuosa dottoressa Michielin, 30 anni, si inserisce in un contesto già segnato dai casi di Sarah Toscano, Big Mama, Vanessa Incontrada, tutte vittime di offese simili. In ognuno di questi casi, il corpo è stato l’oggetto della derisione, la scusa per esercitare una violenza verbale feroce. Ma è proprio questa reiterazione che impone una riflessione più profonda: il body shaming non è solo un problema individuale. È una questione culturale. Per questo Michielin non ha reagito con rabbia, né con vittimismo. Ha scelto la strada più difficile: quella dell’esposizione lucida e consapevole.
Ha condiviso pubblicamente i messaggi ricevuti, ha denunciato le dinamiche tossiche che si annidano nel linguaggio degli haters e, soprattutto, ha indirizzato il suo messaggio a chi soffre in silenzio. “Non parlo per me, ma per tutte le ragazze giovani che ricevono lo stesso schifo. Perché leggere questi commenti fa male. Tanto“. Una presa di posizione che ha valore civile, sociale, educativo. Perché l’obiettivo degli haters è sempre lo stesso: ridurre l’altro al silenzio, farlo sentire sbagliato, colpevole di esistere com’è. Ma quando l’altro non arretra, quando si espone con forza, allora qualcosa si rompe nel meccanismo dell’odio. E può nascere una reazione diversa, collettiva.
Body Shaming, le parole dello psicologo Lino Cavedon
Secondo lo psicologo Lino Cavedon, che abbiamo intervistato sul caso, “commentare il corpo e l’aspetto fisico di un’altra persona non serve davvero a niente, se non a proiettare in un’altra dimensione il proprio malessere esistenziale“. È un bisogno di controllo, spesso legato a frustrazioni personali. E se chi riceve l’odio è fragile, giovane, non ancora strutturata, l’impatto può essere devastante. Il punto, però, è che queste offese non sono mai innocue. Producono effetti reali. Scatenano ansia, depressione, disistima. E possono alimentare, come osservano alcuni studi recenti, vere e proprie forme di auto-oggettivazione e disturbi alimentari.
E’ una battaglia che riguarda tutti. Il merito di Francesca Michielin è stato quello di rompere il silenzio. Non ha risposto per difendere la propria immagine, ma per difendere un’idea di rispetto, di libertà, di corpo non come oggetto di giudizio, ma come presenza viva, plurale, complessa. Questa battaglia, in cui Michielin è impegnata, non è solo sua. È delle ragazze e dei ragazzi che ogni giorno vengono umiliati e bullizzati non solo a scuola, ma anche nei luoghi di lavoro oppure online. È dei genitori che cercano parole per spiegare cosa significhi davvero essere accettati. È degli insegnanti, degli artisti, di chiunque creda che il corpo non sia un reato. Ecco perché l’odio va chiamato col suo nome. E va combattuto con cultura, responsabilità, empatia. Perché, come ha detto la brava Francesca, “il corpo non si commenta. Si protegge”.
Torna alle notizie in home