Politica

Francesco Pallante: “L’Autonomia? Azzera il Parlamento”

di Giovanni Vasso -

Francesco Pallante, professore di diritto Costituzionale all’Università di Torino.


Sull’autonomia differenziata, il parlamento non tocca palla. Francesco Pallante, professore di diritto Costituzionale all’Università di Torino, analizza con L’Identità il progetto di legge sull’autonomia delle regioni.
Professore, cos’è l’autonomia differenziata e come inciderà sugli equilibri del Paese?
Per autonomia differenziata s’intende la facoltà attribuita alle regioni ordinarie nel 2001 di aumentare le proprie competenze normative e gestionali in ambiti oggi di competenza statale. In astratto, è ipotizzabile uno scenario in cui, all’esito del processo, avremo regioni che assumono insegnanti, medici, infermieri e personale amministrativo della giustizia, gestiscono in autonomia l’organizzazione del servizio sanitario e del sistema d’istruzione, anche in relazione alle università, controllano tutti i musei presenti sul territorio regionale, acquisiscono al proprio demanio strade, ferrovie, fiumi e litorale marittimo, decidono le procedure edilizie, anche in deroga alla normativa statale, stabiliscono i piani paesaggistici, governano il ciclo dei rifiuti, intervengono a sostegno delle imprese e della ricerca anche nelle relazioni internazionali.
Assodato che il tema è “bipartisan”, quali sono i veri schieramenti in campo? Chi sta vincendo?
Se è indubbio che il Veneto e la Lombardia a guida leghista spingono da anni per la realizzazione del regionalismo differenziato, è altrettanto indubbio che le loro richieste, inizialmente stigmatizzabili come iniziative estremiste di parte, hanno ottenuto una inaspettata legittimazione nel momento in cui si è unita loro l’Emilia-Romagna governata dal Partito democratico. Oggi Bonaccini critica l’accelerazione imposta da Calderoli al governo, ma non chiarisce perché, fino a poche settimane fa, era in prima linea al fianco di Zaia e Fontana. Anche la componente “nordista” di Forza Italia è a favore, mentre le restanti forze politiche, che pure hanno tutte governato nel corso della scorsa legislatura senza bloccare le richieste regionali, sembrano oggi su posizioni più prudenti, così come Fratelli d’Italia.
Lep. Funzioneranno o sarà un altro buco nell’acqua stile perequazione?
Dai lep dovrebbe dipendere il livello minimo di finanziamento assegnato ugualmente a tutte le regioni con riferimento ai diritti civili e sociali, in modo che sul tutto territorio nazionale i cittadini possano godere delle medesime prestazioni di base. La legge di bilancio 2023, che disciplina l’iter di adozione dei lep, ha però stabilito che spetterà al governo decidere in quali materie effettivamente definirli: dunque, non in tutte. E anche nelle materie in cui saranno definiti non bisogna farsi troppe illusioni: in sanità i lep già esistono sotto il nome di livelli essenziali di assistenza (lea), eppure le differenze tra le regioni sia nell’ammontare del finanziamento, sia nella qualità delle prestazioni erogate sono enormi. Secondo gli ultimi dati, il finanziamento pro-capite differisce fino a 600 euro tra regione e regione e l’indicatore dell’aspettativa di vita segna uno scarto fino a 4 anni tra Nord e Sud (addirittura di 13 anni nell’aspettativa di vita in salute!).
Conviene oggi alle regioni, sotto un profilo di finanza pubblica e in tempi di costi altissimi, assumere su di sé gli oneri, ad esempio, della sanità?
La mia impressione è che le regioni, più che al servizio sanitario, siano interessate alla gestione delle enormi risorse pubbliche legate alla sanità. In parte già lo fanno, ma non è un caso che tra le richieste di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna vi sia quella di poter derogare alle macro-aree di spesa definite dalla legislazione vigente: vogliono poter usare le risorse senza vincoli esterni, specialmente ora che la dimensione pubblica della tutela della salute si va rattrappendo e andiamo incontro a un’espansione del ruolo dei privati.
Quali tempi ci sono?
I tempi sono lunghi, ma non lunghissimi. Da un lato, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna sono già molto avanti nelle trattative, al punto da aver sottoscritto bozze d’intesa con il governo. Dall’altro lato, è previsto che la procedura di determinazione dei lep si esaurisca entro un anno, altrimenti verrà nominato un commissario incaricato di portarla comunque a termine. È incredibile: là dove la Costituzione prevede che intervenga una legge del Parlamento, potrà decidere tutto un commissario governativo, come se definire il contenuto dei diritti equivalesse a ricostruire un ponte. Quanto al ddl Calderoli non è giuridicamente necessario attenderne l’approvazione, si può procedere anche senza: tanto più che, essendo una legge ordinaria, e non una legge costituzionale, non potrà comunque vincolare le leggi di approvazione delle intese.

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