Cultura & Spettacolo

Franco Ferrarotti “La comunicazione come strumento di potere”

di Alberto Filippi -


E’ da poco nelle librerie e nei cataloghi dei libri in vendita on line il pamphlet di Franco Ferrarotti “La comunicazione come strumento di potere”, Edizioni di Comunità, pagg. 112, €. 12,00. Considerato unanimemente il padre della sociologia italiana e pietra miliare della sociologia tout court, Ferrarotti è stato negli anni ’50 del secolo scorso uno dei maggiori collaboratori di Adriano Olivetti, l’imprenditore illuminato, “utopista tecnicamente provveduto”, che nel dopoguerra portò al successo la tecnologia italiana delle macchine da calcolo e da scrivere persino negli USA. Politico, intellettuale e autore prolifico di studi fondamentali sulla società industriale e del “Trattato di sociologia” che ha formato la successiva generazione di studiosi, Ferrarotti ha attraversato da protagonista la storia culturale della seconda metà del Novecento influenzando autorevolmente il pensiero sociologico internazionale. I suoi volumi sono stati tradotti in molte lingue. Oltre che all’Università La Sapienza di Roma ha insegnato in molte università in Europa e negli Stati Uniti. “La comunicazione come strumento di potere” può definirsi un’illuminante mappa di riferimento e di sintesi che, riprendendo temi assai cari all’Autore, individua e posiziona stabilmente i concetti essenziali e la genesi dei punti salienti di riferimento, delle contiguità e dei legami che congiungono in simbiosi inscindibile potere e comunicazione e viceversa. La sintesi, nelle citazioni e nelle notazioni dottrinarie e bibliografiche, rende chiaramente intellegibili zone d’ombra del nostro attuale modo di pensare e d’agire al quale sono di fatto legati l’intero assetto sociale, giuridico, l’organizzazione della produzione e dei servizi, dunque le nostre stesse vite e i nostri destini. Siamo da tempo immersi nella comunicazione. Le nostre società dei consumi e dell’opulenza, dell’esclusione, dello scarto e del rischio, sono unanimemente definite dagli studiosi “società dell’informazione”. In esse, ormai da anni, internet la fa da padrone. La preghiera laica del mattino, che per Hegel consisteva nella lettura mattutina del giornale, è stata ormai sostituita proprio da internet e dai social. Quanti di noi, appena svegli, non si connettono dallo smart o dal pc, avidi di notizie e di comunicare? Le immagini, la comunicazione audiovisiva, hanno preso il sopravvento sulla parola, ponderata, pensata, collegata e coordinata coi verbi, le preposizioni, gli aggettivi; con le altre parole. Ormai mancano il tempo e le capacità per tutto ciò. Non c’è tempo, né silenzio per approfondire, per assimilare i concetti. Quello che c’interessa, alla fine, sono le “istruzioni per l’uso” delle meraviglie della tecnica d’uso quotidiano: i robot da cucina, la tv digitale, l’automobile munita di sensori tecnicamente multiaccessoriata, il nuovo sistema di sorveglianza, le funzioni impensabili dello smartphone multi strumento e multiuso. La comunicazione audiovisiva si prende sempre più spazio e sempre più tempo (Instagram soppianta Facebook). E’ immediata, suggestiva, fondata sull’apparenza, generatrice e velocissima propagatrice della nostra reazione emotiva, di nozioni e istanze primordiali. E’ senz’altro manipolatrice. E’ anche semplice da produrre e facile da utilizzare per essere informati. Sembra un fenomeno di moda, divertente, piacevole. Ingenua, persino alla portata dei più piccoli. Forse spassosamente “infantile”, di sicuro “allegramente smemorata”. Senza saperlo siamo già nel mondo della “deformazione”, un surrogato dell’informazione e della formazione, scuola, famiglia, tv messe insieme: l’universo eterno, affascinante e caotico della manipolazione perpetua e reciproca. Internet, tv e gli altri media si sono intrufolati nelle nostre coscienze, hanno messo radici, hanno veramente cambiato la visione del mondo, del nostro simile, del vicino, del prossimo, della religione, della tecnica, della scienza, della cultura, del lavoro, della produzione, della politica, dell’arte, dei rapporti interpersonali e tra i sessi. Di ogni cosa. In tutto questo consiste il diffuso saper fare del potere. Siamo cambiati, in peggio, e neanche ce ne siamo accorti. Complessivamente abbiamo “una mentalità che ci consente di costruire gli aeroplani ma non ci permette di capire gli esseri umani”. Ferrarotti pone bruscamente un quesito intensamente drammatico: “Dove sono finiti gli esseri umani semplicemente umani?”. Sono finiti dove li hanno condotti “i grandi interessi consolidati, i nuovi signori dell’etere che decidono i flussi comunicativi, e gli imperatori della Terra, che l’avvolgono di satelliti e di impulsi elettronici e la cablano come una mummia da far agire e reagire a piacimento”. Questi stessi soggetti che vogliono e possono ormai “controllare i percorsi degli individui, colonizzarli interiormente, sgretolarne, a fini di più efficace e duraturo sfruttamento, la personalità, attaccandone il nucleo di coerenza fondato sui ricordi personali, intimi, non trasferibili, e sul vissuto del singolo”. Già il canadese Harold Adam Innis (1894-1952), più che McLuhan, l’aveva previsto. Secondo Innis, spiega Ferrarotti, “chi fosse giunto a dominare l’audiovisivo (…) avrebbe avuto in mano un potere inedito, immateriale ma decisivo. Esso non avrebbe attinto solamente alla forza muscolare, ma sarebbe stato in grado di orientare, condizionare e manipolare il cervello, alienare e sfruttare le anime, trasformare ed eventualmente profanare le coscienze”. Ecco come sono stati creati gli attuali idiots savants, quelli che “con l’aiuto di un database sapranno tutto di tutto senza avere il benché minimo sospetto critico su nulla”. Con apparente ingenuità e disinteresse, la logica dell’immagine, strumento della comunicazione audiovisiva, ha prodotto “individui perfettamente adatti alla società tecnicamente progredita, rapidi, scientificamente raffinati e interiormente barbari e vuoti”. Ferrarotti affonda il bisturi della sua analisi sino alle fondamenta: la struttura produttiva del mondo dell’algoritmo, delle multinazionali, delle delocalizzazioni; la povertà e la disoccupazione con le “aspettative spezzate di operai e quadri intermedi dal movimento fisiologico del capitalismo, fra congiuntura alta e bassa, crisi e boom”; l’illusione di poter misurare numericamente i fenomeni umani prodotti dalla Storia e dalla società nel suo complesso; scienza, tecnica, tecnologia che hanno superato argini e limiti e realizzato la “perfezione priva di scopo” sancendo miseramente, peraltro, “la crisi della razionalità scientifica”; la ricerca scientifica spogliata della sua essenza fondata sul disinteresse e trasformata in fattore di produzione al servizio prevalente dei colossi dell’economia, a cominciare da Big Pharma protagonista nell’éra pandemica; la religione, derubricata e ridotta a mera credulità e folklore collettivo. L’ultimo capitolo del libro è dedicato all’intellettuale, in special modo all’intellettuale italiano, quello “separato in casa”, affetto da sindrome di infallibilità, blindato in confraternite di tipo paramafioso, protettive e autoreferenziali, che tra loro non comunicano né danno vita ad utili dibattiti culturali e al ricambio all’interno della categoria. Ripercorrendo la genesi di questa buffa casta, a partire dalle valutazioni critiche espresse da Leopardi nel suo ancora attuale “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani” fino a Moravia, Pasolini, Siciliano e altri protagonisti della cultura del secolo scorso, per Ferrarotti, e non solo, gli intellettuali italiani risultano essere irresponsabili, servili, privi di rapporto con la loro società. Ad essere benevoli li si può definire costantemente alla ricerca “di protettore e di cespiti” a meno che non decidano di ritirarsi in sdegnoso isolamento. Conscio di non poter essere libero di esprimersi, salvo rare eccezioni, “lo spirito critico, per così dire, dell’intellettuale italiano, oppresso da censure e più ancora da autocensure, è appeso al libro paga”. Ferrarotti affonda ancor più inesorabile il dito su questa piaga del diversamente parassita e guitto social-televisivo senza trascurare la “classe politica”, unica casta al mondo identificata con questa espressione. Per quanto concerne la figura dell’intellettuale in altri Paesi, come ad esempio gli USA, o in Europa, l’Inghilterra o la Francia su tutti, l’analisi, anche attraverso il pensiero sociologico comparato dei più autorevoli Autori, risulta più articolata e diversa come diversa è la loro storia. Nel libro c’è molto altro a livello scientifico e divulgativo insieme. Per quanto concerne la realtà italiana, e con riguardo al rapporto tra potere e comunicazione, si parla tuttavia assai poco, anche alla luce della crisi generata dalla pandemia, di corruzione e di infiltrazioni criminali e mafiose negli apparati istituzionali e produttivi. Sarebbe di grande ausilio, per tutti, che uno studioso di razza e di lungo corso come Ferrarotti analizzasse in futuro questi fenomeni tipici della società italiana. La longevità non gli manca. L’acume, si sa.


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