Attualità

Franza o Spagna finchè se sbarca

di Rita Cavallaro -


Che l’Europa vada a quel paese. Non è un’imprecazione, forse un augurio nei desiderata di qualcuno, ma per la cronaca potrebbe essere il finale di un film diretto da un registra che non ci capisce nulla di strategia e diplomazia internazionale. E poco conta chi ha ragione e chi ha torto, nel delirante braccio di ferro sugli sbarchi che si è scatenato tra Roma e Parigi, perché la conseguenza di questa guerra diplomatica è soltanto una: la caduta della maschera che tiene insieme, sotto l’egida della cooperazione europea, un’Unione che voleva copiare gli Stati Uniti e che invece si è ridotta a fare da matrigna in un’aula dell’asilo Mariuccia. Un’Europa che pretende impegni, sacrifici economici, conti a posto, che con una mano dà e con l’altra prende, a strozzo. Che vuole che i Paesi siano uniti dall’Inno alla gioia e poi non si fa carico dei problemi dei “suoi” Stati. E che, soprattutto, non vede le coste italiane come un proprio confine, ma racchiude il suo territorio nelle stanze di Bruxelles, con quei burocrati ingrati che quando c’è di mezzo l’Italia si rifiutano non solo di tagliare il bambino a metà come fece Salomone, ma tacciono di fronte agli appelli bellicosi della Francia, volti a mettere sotto scacco e isolare il nostro Paese. Tutta colpa dei migranti, di quattro poveri cristi che non vuole nessuno e che l’Italia, finora, ha continuato ad accogliere. D’altronde, dicono gli alleati europei, il Belpaese si è impegnato a farsi carico di tutti i disperati che attraversano il Mediterraneo dietro lauto compenso e adesso perché dovrebbe cambiare? Tanto più che l’Europa è convinta di aver fatto la sua parte, con l’accordo di ricollocamento sottoscritto il 10 giugno scorso da 18 governi Ue, più la Norvegia, la Svizzera e il Lichtenstein, che prevede la redistribuzione “su base temporanea e volontaria” dei migranti, attraverso “un meccanismo di solidarietà destinato a fornire una risposta concreta alle difficoltà migratorie degli Stati membri mediterranei di primo ingresso”. Dunque, a beneficiare sarebbe stata soprattutto l’Italia, da un accordo promosso, guarda caso, dalla Francia, che si è impegnata a prendere dal nostro Paese ben 3.500 profughi entro l’estate del 2023. E ieri Parigi ha mandato all’aria questo impegno, prendendo a pretesto la vicenda del braccio di ferro sulla Ocean Viking. Erano giorni che la tensione era alle stelle, a causa dello show andato in onda a reti unificate dal porto di Catania, dove il governo Meloni ha voluto dare la prova di forza che la pacchia è finita. Che in Italia, dove nel 2022 sono già arrivati 90mila clandestini, le Ong non devono più portare “risorse”. Ed è stato soltanto per buon cuore e umanità se donne, bambini e fragili sono stati fatti scendere dalle navi. A nulla sono serviti i richiami dell’Europa al rispetto dei trattati, quegli appelli accorati a far sbarcare tutti. “Il governo italiano sta rispettando le convenzioni internazionali e il divieto imposto a queste navi Ong di sostare in acque italiane, oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso e assistenza dei soggetti fragili, è giustificato e legittimo”, aveva puntualizzato il premier Giorgia Meloni, perché “a bordo di queste navi non ci sono naufraghi, ma migranti”. E quando il governo si è mostrato irremovibile sull’approdo della Ocean Viking, la Francia ha preso il vessillo dell’umanità e si è mostrata magnanima, accettando di accogliere l’imbarcazione a Tolone. Poi è successo qualcosa, diplomaticamente incomprensibile ma strategicamente intuibile: con quella mossa, Parigi stava cedendo potere sotto il ricatto italiano, dando al governo Meloni l’idea che basta scalpitare per ottenere qualcosa. Senza contare il messaggio sottinteso ai trafficanti di esseri umani, che a quel punto avrebbero potuto prendere Tolone come una nuova rotta dei disperati. E allora “marche arrière”. Retromarcia: la Ocean Viking non può sbarcare a Parigi. Ma appena è giunto l’invito dell’Europa a indicare prima possibile il porto di approdo, il ministro dell’Interno francese Gerald Darmanin ha dovuto mantenere la parola “in via eccezionale” e ha dato vita a una ritorsione non di poco conto contro l’Italia. Perché Parigi si prenderà sì i 234 migranti sulla Ong, ma “con effetto immediato la Francia sospende l’insieme dei ricollocamenti di 3.500 rifugiati a beneficio dell’Italia e chiede a tutti gli altri partecipanti al Meccanismo europeo, in particolare alla Germania, di fare lo stesso”, ha tuonato Darmanin, invitando gli altri Paesi a lasciare sola l’Italia nell’emergenza immigrazione e annunciando “conseguenze estremamente gravi per le nostre relazioni bilaterali”. Darmanin ha aggiunto che “la Francia si rammarica profondamente del fatto che l’Italia non si sia comportata come uno Stato europeo responsabile. La gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo è un problema europeo che riguarda tutti noi e richiede una risposta europea”. Inoltre il governo francese ha schierato poliziotti a Mentone per bloccare qualunque straniero cerchi di entrare in territorio francese dal confine di Ventimiglia. E il comportamento di Parigi ha stupito Roma. “Credo che dalla Francia sia venuta una reazione sproporzionata”, ha detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Reazione incomprensibile”, per il titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, ma che “dimostra quanto la postura delle altre nazioni di fronte all’immigrazione illegale sia ferma e determinata. Quello che non capiamo è in ragione di cosa l’Italia dovrebbe accettare di buon grado qualcosa che gli altri non sono disposti ad accettare”. Insomma, una guerra tra bande, una crisi diplomatica che, difficilmente, potrà essere sanata.


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