Gambia, rischia di saltare il divieto di mutilazione genitale femminile
I leader politici e religiosi del Gambia stanno facendo pressione per ripristinare la mutilazione genitale femminile, messa al bando otto anni fa. I membri dell’assemblea nazionale del Paese infatti, hanno sostenuto la proposta di abrogare la legge del 2015, mentre il Consiglio islamico supremo ha chiesto al governo di riconsiderare la legislazione e ha emesso una fatwa che condanna chiunque ne denunci la pratica.
Gli attivisti e le organizzazioni della società civile sono insorte, dichiarando che la mossa sarebbe estremamente regressiva. “Il Gambia ha compiuto un passo coraggioso nel 2015 verso l’eliminazione delle mutilazione genitale femminile (mgf), quindi tornare indietro dopo otto anni e ricominciare da capo avrebbe implicazioni molto, molto grandi per il Paese”, ha affermato Fallou Sowe, coordinatore nazionale dell’organizzazione “Network against gender-based violence”.
Secondo l’indagine demografica sulla salute del Paese 2019-20, quasi tre quarti delle donne (il 73%) di età compresa tra 15 e 49 anni hanno subito le mutilazioni, e quasi due terzi di queste sono state sottoposte alla pratica prima dei cinque anni. La mgf, rimuovendo parzialmente o totalmente i genitali femminili esterni, può avere gravi conseguenze sulla salute, inclusa l’infertilità. La pratica è considerata una violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze e nel 2012 l’Onu ha approvato una risoluzione per vietarla. Nonostante ciò, la mgf è ancora praticata in circa 30 paesi dell’Africa e del Medio Oriente.
La procedura viene solitamente eseguita da donne tagliatrici per motivi culturali e religiosi. In alcune comunità è un prerequisito per il matrimonio. Secondo la legge attuale in Gambia, una persona condannata per averla praticato rischia fino a tre anni di carcere e una multa di 50.000 dalasi (meno di 1000 euro), o entrambi. Nel caso in cui la mutilazione portasse alla morte, l’autore del reato rischierebbe l’ergastolo.
Il dibattito è iniziato alla fine di agosto, dopo che tre donne sono state condannate per aver inferto la mutilazione nella regione di Central River – il primo procedimento giudiziario ai sensi della legge del 2015 – e condannate a pagare una multa di 15.000 dalasi. Pochi giorni dopo, un religioso islamico ha pagato le multe incoraggiando i gambiani a continuare a praticare la mgf. La questione è stata poi discussa all’assemblea nazionale di settembre, dove sono stati lanciati appelli per abrogare la legge.
Fatou Baldeh, fondatrice di Women in Liberation and Leadership, un’organizzazione della società civile gambiana, ha affermato di aver già notato un impatto nelle ultime due settimane: “Siamo tornati indietro. Sono già stati fatti enormi danni a causa delle dichiarazioni rilasciate dal Consiglio Supremo Islamico secondo cui le mutilazioni sono islamiche”.
Secondo Baldeh se la legge venisse abrogata, altre leggi a protezione delle donne, come quella che vieta il matrimonio sotto i 18 anni, potrebbero essere messe in discussione. Non solo. “Altri Paesi potrebbero sfruttare l’esperienza gambiana per smantellare i diritti delle donne (o impedirne di nuovi) nei propri Paesi” ha aggiunto l’attivista.
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