Esteri

Gaza, Biden: svolta nelle trattative ma viene smentito

di Ernesto Ferrante -


Sciocchezza o fuga in avanti non concordata? Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha spiazzato tutti affermando che Israele sarebbe disponibile a fermare la sua guerra contro a Gaza durante il prossimo mese di digiuno musulmano del Ramadan se verrà raggiunto un accordo per liberare alcuni degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. “Il Ramadan si avvicina e c’è stato un accordo da parte degli israeliani che non si sarebbero impegnati in attività anche durante il Ramadan, per darci il tempo di liberare tutti gli ostaggi”, ha detto Biden nel corso di un’intervista per “Late Night With Seth Meyers”. L’iniziale ottimismo è scemato nel giro di qualche ora, con l’arrivo delle smentite delle parti in causa. Un funzionario del movimento di resistenza islamica ha dichiarato a Reuters che i commenti del capo della Casa Bianca sono prematuri e non corrispondono alla situazione sul campo. Il premier israeliano Benyamin Netanyahu sarebbe rimasto “sorpreso” dalle esternazioni del leader Usa. Lo riferisce Abc, citando una fonte politica israeliana di alto livello. Majed Al-Ansari, un portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, ha fatto sapere che non c’è nessuna svolta da annunciare, anche se l’emirato “è fiducioso e ottimista sui colloqui di mediazione a Gaza”.
Tel Aviv ha accettato di riprendere il trasferimento del gettito fiscale all’Autorità Palestinese per finanziare i servizi di base e sostenere l’economia della Cisgiordania. A rivelarlo è stato il Segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen. Durante l’intera giornata delle elezioni municipali nello Stato ebraico, le famiglie dei 134 ostaggi hanno protestato davanti ai seggi. L’Onu ha accusato le forze israeliane a Gaza di aver bloccato un convoglio di evacuazione medica a Khan Younis, costringendo i paramedici a spogliarsi per le perquisizioni prima di fermarli.
L’Iran ha “lodato” il gesto di Aaron Bushnell, il militare americano morto dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington, in segno di protesta contro la guerra nell’enclave palestinese, definendolo “la forte voce delle coscienze che si sono risvegliate in America contro la partecipazione del governo nel genocidio dei palestinesi”.


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