Esteri

Gaza, il gas e l’illusione di uno Stato Palestinese

di Monica Mistretta -


Le prospettive per uno Stato palestinese stanno letteralmente crollando sotto i nostri occhi”. Sono le parole pronunciate ieri dal primo ministro canadese, Mark Carney, che sintetizzano la decisione di Ottawa di seguire l’esempio di Francia, Regno Unito e un lungo elenco di Paesi.

La svolta arriva la scorsa settimana con il fallimento dei negoziati tra Israele e Hamas, quando l’amministrazione Trump inizia a ventilare alternative per una soluzione alla guerra. Le indiscrezioni della stampa israeliana su un’eventuale annessione di Gaza e Cisgiordania a Israele mettono in allarme la comunità internazionale. Gli annunci di riconoscimento della Palestina vanno di pari passo alle minacce di un’occupazione dei territori palestinesi.

Dopo decenni di silenzio, con il 75% della Striscia di Gaza in mano all’esercito israeliano e intere aree della Cisgiordania occupate dagli insediamenti, la questione palestinese torna d’attualità. Se Israele dovesse occupare Gaza, non prenderebbe possesso solo di una landa desolata di case distrutte e miseria, ma anche di uno dei più importanti bacini di gas del Mediterraneo orientale.

Il Gaza Marine scoperto dalla British gas

A scoprire il Gaza Marine a 35 chilometri dalla costa di Gaza nel 2000 erano state la britannica British gas, poi acquisita dalla anglo olandese Shell, e la compagnia del Sud Africa Oil Gas Marine International CC. La capacità del bacino è di 1.000 miliardi di piedi cubi. Gaza all’epoca era territorio dell’Autorità Palestinese di Ramallah: Hamas era un movimento di opposizione. Per portare il gas all’Europa si pensa a due alternative: l’impianto egiziano di Idku, nei pressi di Alessandria, o la vendita alla Israel Electric Corporation.

Ma il progetto del Gaza Marine viene messo in pausa nel 2007, quando Hamas con un colpo di Stato sottrae il controllo della Striscia a Ramallah. Nel 2021, a un anno dallo scoppio della guerra con la Russia in Ucraina che metterà in crisi le forniture di gas all’Europa, l’Egitto arriva a un accordo con l’Autorità Palestinese di Ramallah. La Shell cede le sue quote: entrano in campo il Palestine investment fund e la Egyptian natural gas (Egas), che formano un consorzio per lo sviluppo del giacimento. Israele, nel frattempo, ha scoperto altri giacimenti nelle sue acque: Tamar, Karish, Tanin, Mar-B, Noa e Leviatan, quest’ultimo in condivisione con Cipro.

Il gas e gli accordi

Secondo le indagini sismiche dell’istituto geologico nazionale degli Stati Uniti nel Mediterraneo orientale si nascondono 10.000 miliardi di metri cubi di gas. Agli inizi dell’autunno 2023 il consorzio egiziano e Ramallah riescono a superare l’ostilità israeliana. Grazie a un accordo firmato con il primo ministro Netanyahu, si stabilisce che il gas del Gaza Marine venga acquistato dalla egiziana Egas e che i ricavi siano trasferiti all’Autorità Palestinese, anziché ad Hamas.

L’implementazione del piano, al quale partecipa la Federation of Arab Contractors, avrebbe dovuto prendere avvio nell’ottobre 2023. Il resto è storia: gli attacchi di Hamas a Israele in quello stesso mese metteranno di nuovo in pausa il Gaza Marine. Israele, che nel frattempo ha offerto 12 licenze di esplorazione del gas nelle sue acque a due consorzi guidati dall’italiana Eni e dalla SOCAR, la società statale dell’Azerbaijan, si prepara a dividere con Cipro ed Egitto il monopolio del gas nel Mediterraneo orientale. L’Europa ha già pagato a caro prezzo la dipendenza energetica dalla Russia. I costi del gas liquefatto acquistato dagli Stati Uniti e dal Qatar sono altissimi. I Paesi europei e l’economia mondiale non possono permettersi altri monopoli. E si preparano a contrastarli con i mezzi a disposizione. Perfino riportando in vita il morente Stato di Palestina.


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